sabato 7 luglio 2012

Racconti di...


Donne…
Il sole si era levato da poco e la città, sebbene ancora assonnata, cominciava a svegliarsi. Nonostante il sopore generale i corridoi del palazzo di giustizia fremevano di vita.
La gente, incuriosita dalle foto in prima pagina dei quotidiani locali, continuava ad accalcarsi in quel aula pur di vedere con i propri occhi colei che, con il proprio atto di ribellione, ormai era diventata il punto di riferimento per tutte quelle donne che decidono di riscattare la propria libertà e vendicare i propri lutti.
Contrariamente al pensiero altrui, dopo l’uccisione del figlio e del marito, Lucia aveva deciso di rompere quegli “equilibri” tipici dell’omertà siciliana e schierarsi in prima linea.
Quel giorno, nella saletta attigua all’aula della Corte, in perfetta sintonia con la folla, Lucia aspettava con ansia di essere chiamata. Aveva troppe cose da “vomitare” e l’attesa le  sembrava un’eternità.
Malgrado il dolore e benché consapevole che da quel momento la sua vita valeva appena il valore di una scarica di proiettili, quella donna minuta vestita a lutto, si presenta in aula e punta il dito contro gli aguzzini della propria famiglia. Lei, donna d’onore  e signora di Cosa Nostra, non si lascia intimorire dagli sguardi stupefatti di magistrati, avvocati, giornalisti e pubblico che stentano a credere alle loro orecchie sentendo quella donna mentre scandisce i nomi di coloro che le hanno sterminato la famiglia. Senza nessun timore si gira verso la gabbia degli imputati, li guarda tutti dritti negli  occhi e li indica uno per uno davanti ai magistrati: “Eccoli lì, signor giudice! Sono i carnefici di mio figlio e di mio marito!”, urla. Con un fremito appena percettibile e i lineamenti del viso lievemente alterati, Lucia racconta ai magistrati tutti i particolari che portarono alla tomba prima il marito e poi il proprio figlio.
Era bastato rivolgerle lo sguardo per comprendere il suo dramma, la rabbia contro quegli uomini, la sua smania di vendetta.
Dopo gli omicidi dei suoi cari a nulla erano valsi gli ammonimenti ed i “suggerimenti fraterni”. Il giorno dopo i funerali Lucia, incurante delle regole della mafia, si era incamminata verso la stazione dei Carabinieri e, alla presenza degli ufficiali competenti, aveva denunciato esecutori e mandanti.
Pubblico, avvocati, cronisti, giudici, erano consci della motivazione che aveva spinto quella donna a parlare: la vendetta. Eppure il suo gesto toccava punte altissime di riscatto.
Proprio così! Era stata lei a restituire dignità a quel tipo di donna costretta a subire solo umiliazioni! Era lei ad aver spezzato l’incantesimo di quelle donne macchiate d’infamia a causa dei continui lutti di mafia! Ed era stata sempre lei ad aver avuto il coraggio di dire basta a quel senso di solitudine causato da quel inspiegabile “muro” chiamato omertà!

Tina Cancilleri

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