Donne…
Il
sole si era levato da poco e la città, sebbene ancora assonnata, cominciava a
svegliarsi. Nonostante il sopore generale i corridoi del palazzo di giustizia
fremevano di vita.
La
gente, incuriosita dalle foto in prima pagina dei quotidiani locali, continuava
ad accalcarsi in quel aula pur di vedere con i propri occhi colei che, con il
proprio atto di ribellione, ormai era diventata il punto di riferimento per
tutte quelle donne che decidono di riscattare la propria libertà e vendicare i
propri lutti.
Contrariamente
al pensiero altrui, dopo l’uccisione del figlio e del marito, Lucia aveva
deciso di rompere quegli “equilibri” tipici dell’omertà siciliana e schierarsi
in prima linea.
Quel
giorno, nella saletta attigua all’aula della Corte, in perfetta sintonia con la
folla, Lucia aspettava con ansia di essere chiamata. Aveva troppe cose da
“vomitare” e l’attesa le sembrava
un’eternità.
Malgrado
il dolore e benché consapevole che da quel momento la sua vita valeva appena il
valore di una scarica di proiettili, quella donna minuta vestita a lutto, si
presenta in aula e punta il dito contro gli aguzzini della propria famiglia. Lei,
donna d’onore e signora di Cosa Nostra,
non si lascia intimorire dagli sguardi stupefatti di magistrati, avvocati,
giornalisti e pubblico che stentano a credere alle loro orecchie sentendo
quella donna mentre scandisce i nomi di coloro che le hanno sterminato la
famiglia. Senza nessun timore si gira verso la gabbia degli imputati, li guarda
tutti dritti negli occhi e li indica uno
per uno davanti ai magistrati: “Eccoli lì, signor giudice! Sono i carnefici di
mio figlio e di mio marito!”, urla. Con un fremito appena percettibile e i
lineamenti del viso lievemente alterati, Lucia racconta ai magistrati tutti i
particolari che portarono alla tomba prima il marito e poi il proprio figlio.
Era
bastato rivolgerle lo sguardo per comprendere il suo dramma, la rabbia contro
quegli uomini, la sua smania di vendetta.
Dopo
gli omicidi dei suoi cari a nulla erano valsi gli ammonimenti ed i “suggerimenti
fraterni”. Il giorno dopo i funerali Lucia, incurante delle regole della mafia,
si era incamminata verso la stazione dei Carabinieri e, alla presenza degli
ufficiali competenti, aveva denunciato esecutori e mandanti.
Pubblico,
avvocati, cronisti, giudici, erano consci della motivazione che aveva spinto
quella donna a parlare: la vendetta. Eppure il suo gesto toccava punte
altissime di riscatto.
Proprio
così! Era stata lei a restituire dignità a quel tipo di donna costretta a
subire solo umiliazioni! Era lei ad aver spezzato l’incantesimo di quelle donne
macchiate d’infamia a causa dei continui lutti di mafia! Ed era stata sempre
lei ad aver avuto il coraggio di dire basta a quel senso di solitudine causato
da quel inspiegabile “muro” chiamato omertà!
Tina
Cancilleri
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