lunedì 21 ottobre 2013

A proposito di...tempo!!!

Tempo…

“Il tempo va costantemente razionalizzato e monetizzato, o al tempo si possono chiedere parentesi di umanità e basta? Amico ricco e schiavo degli appuntamenti di lavoro, perché, nella lista dei tuoi mille acquisti non scrivi anche: «vecchio orologio a pendolo»? Ma si, tra un impegno e l’altro, fai anche tu come quel sant’uomo del latinista: blocca la pendola e vola sulle nuvole. Sogna. Ritrova te stesso, sospeso tra le radici e il futuro”.
Paolo Mosca


“Sospeso tra le radici e il futuro…”.
E il presente? Dov’è il presente?
Dov’è questo tempo afferrato…catturato e reso nostro?
Perché il tempo è nostro! È nostro il tempo come è nostro il modo in cui lo vogliamo scandire…modulare…ritmare…
Scrivo ritmare perché mi piace pensare che il tempo non sia una semplice scansione di attimi ma sia ritmo…armonia…ordine e proporzione…
Perché di questo ha bisogno il tempo!
Di ordine e proporzione per dare armonia al ritmo…a quell’istante di eternità che è il nostro vivere…
Un vivere che ha bisogno di non perdere di vista le proprie radici…di non annullare il proprio presente…ma nemmeno di vivere solo in funzione del proprio futuro…
Armonia…
C’è bisogno di armonia…di equilibrio…di proporzione per rendere concretamente vero il nostro esistere…
Un esistere in cui noi siamo spesso prigionieri del tempo…di questo tempo non vissuto ma semplicemente proiettato nella vita che verrà senza, purtroppo, cercare di dare concretezza ai sogni…a se stessi…alle nuvole…


               Tina Cancilleri

lunedì 14 ottobre 2013

A proposito di...malattia!

“Portatrice sana”di…

“Voglio vederci bene e voglio che gli altri mi vedano. Gli altri, quelli che ho sfuggito per mesi, chiudendomi dentro casa, quelli che ti guardano pensando com’eri, a come sei, un lampo fuggevolissimo di compassione, una preghiera al loro dio perché gli eviti questa fine. I vicini”.
                                                                                  Cesarina Vighi

È sempre difficile confrontarsi con una malattia, ma è ancor più difficoltoso accettarla, “sentirla” tua.
Ed è come sentirsi degli estranei non soltanto verso se stessi, ma anche verso gli altri perché non ci si “vede” più. Ed è come esser divenuti trasparenti all’improvviso e non sapere da dove ricominciare per attingere colore, consistenza, significato, spessore. Uno spessore, un significato, una consistenza ed un colore che non si vedono perché assumono sfumature diverse; sfumature che, inizialmente, non si è in grado di cogliere perché tante le paure che ci assalgono ed infinite le inquietudini che ci assediano e fanno man bassa di noi, delle nostre certezze,delle nostre insicurezze.
Tutto intorno a noi vacilla, e non c’è spazio per gli altri, come non c’è spazio per se stessi, per la ricostruzione, per la riedificazione di se stessi.

Tutto ci porta a schivare noi stessi e gli altri per la paura di non essere in grado di reggere il confronto, lo sguardo di coloro che ci circondano e che vedono in noi “il volto della malattia”. “Un volto” che vediamo soprattutto noi perché non siamo in grado di eludere i cattivi pensieri e gli stati ansiogeni che noi stessi ci creiamo perché siamo incapaci di guardare oltre quella “diversità” che siamo noi stessi ad incrementare, a fomentare, a stimolare con le nostre chiusure, i nostri presunti limiti, i nostri probabili confini.
E non c’è nulla che riesca a distoglierci da quella che è la nostra nuova condizione, il nostro nuovo modo di essere, il nostro modo di vederci e di rapportarci agli altri. Tutto ci riporta ineluttabilmente alla realtà…alla nostra realtà.
E non riusciamo a vedere nessuna forma di concretezza tranne quella di quel “male”, di quella “condanna” che ci “rode dentro” e che ha stravolto la nostra esistenza rendendoci diversi, distanti, difformi da noi stessi e dagli altri.
Ma è nel momento stesso in cui quel “male”, quella “condanna”, ci allontanano anni luce da ciò che eravamo e ciò che siamo diventati che riemerge la voglia di ricostruire, reinventare e rivedere se stessi.
Ed è come se tutto ad un tratto un lampo di luce avesse acceso in noi quell’orgoglio sopito e ci riportasse in vita facendo riaffiorare fierezza, forza, coraggio, ardore.
Ed è proprio quell’ardore, quella nuova luce negli occhi che ti spinge a creare movimento, dinamismo, vivacità intorno a te stessa e alle persone  che ti circondano e che, dopo tanto tempo o per la prima volta rivedono/vedono la vera te stessa.


     Tina Cancilleri