sabato 14 dicembre 2019

Le parole che vorremmo...

Chissà perché è sempre così difficile parlare di malattia. Forse perché ci fa paura o forse perché, semplicemente, si ha bisogno di tempo per incanalare le emozioni che da essa scaturiscono. Emozioni che fluiscono in varie direzioni e che necessitano di essere accolte non soltanto dal malato, ma anche dal medico che lo segue e dai suoi familiari. Familiari che, spesso e volentieri, sono anch'essi disorientati e pertanto bisognosi di essere accuditi e confortati dalle parole. Parole che devono racchiudere non soltanto le informazioni relative alla malattia e al suo decorso, ma anche capaci di accogliere le loro ansie e le loro preoccupazioni, le loro attese e le loro speranze. Speranze che, in alcuni casi, sicuramente non vanno fomentate, ma vanno comunque rispettate nei loro tempi di assimilazione e acquisizione del problema. Un "problema" che richiede tempo per essere recepito e affrontato ma che, purtroppo, non sempre corrisponde al tempo del medico. Un medico che, nei limiti del possibile, dovrebbe rimanere accanto al paziente non soltanto per curare il dolore del corpo, ma anche quello dell'anima. Un'anima che vive scansioni temporali non misurabili ma a cui il medico, preferibilmente, dovrebbe sintonizzarsi per aiutare a sentire e vivere la malattia come qualcosa che fa parte di un destino comune a chi cura e a chi è curato. Solo se il percorso del medico e del malato camminano di pari passo diviene più semplice e lineare il percorso dei familiari. Familiari che, gradatamente e assieme al proprio caro, impareranno ad  affrontare in maniera più distesa e serena i sentieri del dolore.