venerdì 31 gennaio 2014

Dolori...

Per quanto si cerchi di eluderlo, il dolore è sempre avvolto da una coltre di nubi ed è imprigionate in gabbie che noi stessi abbiamo costruito.
A nulla valgono i nostri tentativi di raggirarlo, ubriacandoci di esperienze e sensazioni sempre nuove per evitare di confrontarci con esso.

Quando meno ce lo aspettiamo, lui si mostrerà a noi nella sua interezza e noi non potremo fare a meno di accoglierlo perché è solo da “quell’accoglienza” che dipenderà la soluzione di tutti i nostri nodi irrisolti.

Tina Cancilleri

lunedì 27 gennaio 2014

Gocce di memoria...

Non chiedermi come fosse mia madre: si può descrivere il sole? Da mamma emanavano calore, forza, gioia. Ricordo più l’effetto che mi faceva che non i suoi lineamenti. Accanto a lei ero contento, sicuro che non potesse succedermi niente di male.
Tant’è vero che quando salirono i soldati tedeschi non mi spaventai. Mi limitai a recitare la parte del bambino muto: d’intesa con i miei genitori, preoccupati che il mio yiddish mi tradisse, smettevo di parlare non appena si avvicinavano le divise grigio-verdi o i cappotti di pelle nera. In quell’anno 1942 eravamo tenuti a portare cucita addosso una stella gialla, ma mio padre, da bravo sarto, aveva trovato il modo di confezionarci soprabiti che permettevano di nascondere le stelle e di farle apparire in caso di bisogno. Mia madre le chiamava le nostre «stelle filanti».
Mentre i militari conversavano senza prestare attenzione a noi, sentii mia madre irrigidirsi e cominciare a tremare. Per istinto? O aveva sentito una frase rivelatrice?
Si alzò, mi mise una mano sulla bocca e alla fermata successiva mi spinse frettolosamente verso l’uscita. Una volta sul marciapiede le chiesi: «Perché scendiamo qui? Noi abitiamo più in là!».
«Facciamo due passi, Joseph. Ti va?»
A me andava tutto quello che andava a lei, anche se le mie gambette da settenne faticavano non poco a tenere il suo passo, diventato improvvisamente più scattante e affrettato del solito.
Per strada propose: «Andiamo a trovare una gran signora, vuoi?».
«Si. Chi è?»
«La contessa di Sully».
«E quanto è alta?»
«Eh?»
«Hai detto che è grande…»
«Nel senso che è nobile».
«Nobile?»
Così, spiegandomi che nobile vuol dire persona di alti natali, discendente da una vecchia famiglia, e che, proprio per questa sua nobiltà, bisognava portarle molto rispetto, mi condusse fino all’anticamera di un magnifico palazzo dove fummo ricevuti da alcuni domestici.
Là ci rimasi male, perché la donna che ci venne incontro non corrispondeva affatto a quello che avevo immaginato: per quanto proveniente da una «vecchia» famiglia, la contessa di Sully aveva un’aria molto giovane, e per quanto «gran» dama di «alti» natali, era più o meno della mia statura.
Scambiarono velocemente qualche parola sottovoce, poi mia madre mi diede un bacio e mi disse di aspettarla lì fino al suo ritorno.
La piccola, giovane e deludente contessa mi condusse in salotto dove mi offrì tè e dolcetti e si mise a suonare ariette al pianoforte. Davanti all’altezza dei soffitti, all’abbondanza della merenda e alla bellezza della musica decisi di rivedere il mio giudizio e, sprofondandomi contento in una poltrona, dovetti ammettere che era una «gran dama».
Lei smise di suonare, dette un’occhiata all’orologio, sospirò, poi si girò verso di me con aria preoccupata.
«Joseph, non so se capirai quello che ti sto per dire, ma il nostro sangue ci vieta di nascondere la verità ai bambini».
Doveva essere un’abitudine dei nobili, ma io che c’entravo? Credeva che fossi nobile anch’io? magari lo ero. Io, nobile? Chissà… Perché no? Se, come lei, non bisognava essere né alti né vecchi, forse avevo delle possibilità.

«Joseph, tu e i tuoi genitori siete in grave pericolo. Tua madre ha sentito parlare di arresti che verranno fatti nel vostro quartiere. È corsa ad avvertire tuo padre e quanta più gente possibile. Ti ha lasciato da me perché tu sia al sicuro. Spero che torni. Ecco tutto. Spero proprio che torni».
Accidenti, forse era meglio non essere nobili tutti i giorni: la verità faceva piuttosto male!

«Mamma torna sempre. Perché non dovrebbe tornare?»

«Perché la polizia potrebbe averla arrestata».
«Cosa ha fatto?»
«Niente. Non ha fatto niente. È…».
E qui la contessa emise un lungo gemito di petto che le fece tintinnare le perle della collana. I suoi occhi si inumidirono.
«È cosa?» domandai.

«È ebrea».
«Certo che è ebrea. Siamo tutti ebrei, in famiglia. Anch’io, sai».
Si vede che avevo ragione, perché mi baciò su entrambe le guance.
«Anche tu sei ebrea, signora?».
«No, sono belga».
«Come me!»
«Si, come te. Ma cristiana».
«Cristiana è il contrario di ebreo?»
«Nazista è il contrario di ebreo».
«i cristiani non li arrestano?»
«No».
«Allora conviene essere cristiani».
«Dipende di fronte a chi ti trovi. Vieni, Joseph, ti faccio vedere la casa intanto che aspettiamo il ritorno della mamma».
«Ah, lo vedi che torna?»
La contessa di Sully mi prese per mano.



Erich – Emmanuel Scmitt, Il bambino di Noè.

domenica 26 gennaio 2014

A proposito di...MUOStri!!!



E non si può non provare, sentire, un dolore misto a lacrime amare per lo scempio che stiamo vivendo. Niscemi sta vivendo il suo/il nostro dramma con la consapevolezza che bisogna lottare, non arrendersi, non dare credito a tutte quelle voci che continuano a replicare che non c'è speranza, non c'è possibilità di vittoria contro il MUOStro e contro coloro che ne stanno appoggiando la realizzazione. Ma Niscemi continua a mostrare il suo dissenso e guarda avanti, guarda verso il futuro che sogna e che il MUOStro gli vuole rubare.
Niscemi non arretra, non si lascia intimorire, non si lascia influenzare dal silenzio che la pervade come una cappa che vorrebbe opprimerla...
Niscemi chiede solo di essere ascoltata perchè il "suo" MUOStro è il nostro MUOStro e non vorrebbe che, prima o poi, ci ritrovassimo a dover fare i conti con la nostra coscienza...

mercoledì 8 gennaio 2014

Poi successe l'incredibile...

«Oltre alle guerre aperte c’erano anche le guerre di sfinimento, le azioni quasi pacifiche che permettevano a una sola persona di vendicare i soprusi dei grandi».
Susanna Tamaro

Chissà perché c’è bisogno di «vendicare il sopruso dei grandi» e chissà perché i “piccoli”, pur aborrendo la violenza, si ritrovano a buttar fuori la parte “peggiore” di loro per non farsi sopraffare dalle dinamiche perverse della politica, dell’economia, della guerra. Una guerra che è sempre di logoramento perché implica una presa d’atto, un non voler deporre le armi perché verrebbe visto come un atto di debolezza. Una debolezza che non può essere accettata né dai “grandi” né dai “piccoli” perché significherebbe ritornare sui propri passi e mostrare segni di cedimento; un cedimento che non deve nemmeno trapelare nell’esercito nemico perché significherebbe rivalutare la propria posizione e mostrare quella parte di sé che và celata, nascosta, difesa dallo sguardo attento dell’avversario; un avversario che, seppur “piccolo”, spesso e volentieri, ha imparato a sue spese le dinamiche di questo gioco-forza e non si arrende alle dinamiche di guerra ed alla politica di sopraffazione dei “grandi” e le combatte con le uniche armi che possiede: con la manifestazione pacifica del proprio dissenso.
Un esempio?
Il Movimento NO MUOS di Niscemi, ossia quel Movimento costituito da “semplici” cittadini che hanno dimostrato e continuano a dimostrare grande coraggio e forza d’animo nell’affrontare non solo quel grande mostro che è il MUOS e le 46 antenne NRTF ma anche le istituzioni che vi stanno dietro. Istituzioni barbare e becere il cui unico obiettivo è mostrare la loro potenza militare e politica a discapito di tutto e tutti.
Un “TUTTO” e un “TUTTI” che, nel Movimento No Muos, hanno trovato la loro voce e proclamano con forza il proprio NO!
NO al MUOS!
NO alla GUERRA!
NO alla MAFIA!
NO a qualsiasi forma di VIOLENTA SOPRAFFAZIONE!
Forza ragazzi! Avanti tutta! Ce la possiamo fare…


Parma 8 gennaio 2014           Tina Cancilleri