Non
chiedermi come fosse mia madre: si può descrivere il sole? Da mamma emanavano
calore, forza, gioia. Ricordo più l’effetto che mi faceva che non i suoi
lineamenti. Accanto a lei ero contento, sicuro che non potesse succedermi
niente di male.
Tant’è
vero che quando salirono i soldati tedeschi non mi spaventai. Mi limitai a
recitare la parte del bambino muto: d’intesa con i miei genitori, preoccupati
che il mio yiddish mi tradisse, smettevo di parlare non appena si avvicinavano
le divise grigio-verdi o i cappotti di pelle nera. In quell’anno 1942 eravamo
tenuti a portare cucita addosso una stella gialla, ma mio padre, da bravo
sarto, aveva trovato il modo di confezionarci soprabiti che permettevano di
nascondere le stelle e di farle apparire in caso di bisogno. Mia madre le
chiamava le nostre «stelle filanti».
Mentre i militari conversavano senza
prestare attenzione a noi, sentii mia madre irrigidirsi e cominciare a tremare.
Per istinto? O aveva sentito una frase rivelatrice?
Si alzò, mi mise una mano sulla bocca
e alla fermata successiva mi spinse frettolosamente verso l’uscita. Una volta
sul marciapiede le chiesi: «Perché scendiamo qui? Noi abitiamo più in là!».
«Facciamo due passi, Joseph. Ti va?»
A me andava tutto quello che andava a
lei, anche se le mie gambette da settenne faticavano non poco a tenere il suo
passo, diventato improvvisamente più scattante e affrettato del solito.
Per strada propose: «Andiamo a
trovare una gran signora, vuoi?».
«Si. Chi è?»
«La contessa di Sully».
«E quanto è alta?»
«Eh?»
«Hai detto che è grande…»
«Nel senso che è nobile».
«Nobile?»
Così, spiegandomi che nobile vuol
dire persona di alti natali, discendente da una vecchia famiglia, e che,
proprio per questa sua nobiltà, bisognava portarle molto rispetto, mi condusse
fino all’anticamera di un magnifico palazzo dove fummo ricevuti da alcuni
domestici.
Là ci rimasi male, perché la donna
che ci venne incontro non corrispondeva affatto a quello che avevo immaginato:
per quanto proveniente da una «vecchia» famiglia, la contessa di Sully aveva un’aria
molto giovane, e per quanto «gran» dama di «alti» natali, era più o meno della
mia statura.
Scambiarono velocemente qualche
parola sottovoce, poi mia madre mi diede un bacio e mi disse di aspettarla lì
fino al suo ritorno.
La piccola, giovane e deludente
contessa mi condusse in salotto dove mi offrì tè e dolcetti e si mise a suonare
ariette al pianoforte. Davanti all’altezza dei soffitti, all’abbondanza della
merenda e alla bellezza della musica decisi di rivedere il mio giudizio e,
sprofondandomi contento in una poltrona, dovetti ammettere che era una «gran
dama».
Lei smise di suonare, dette un’occhiata
all’orologio, sospirò, poi si girò verso di me con aria preoccupata.
«Joseph, non so se capirai quello che
ti sto per dire, ma il nostro sangue ci vieta di nascondere la verità ai
bambini».
Doveva essere un’abitudine dei nobili,
ma io che c’entravo? Credeva che fossi nobile anch’io? magari lo ero. Io,
nobile? Chissà… Perché no? Se, come lei, non bisognava essere né alti né vecchi,
forse avevo delle possibilità.
«Joseph, tu e i tuoi genitori siete
in grave pericolo. Tua madre ha sentito parlare di arresti che verranno fatti
nel vostro quartiere. È corsa ad avvertire tuo padre e quanta più gente
possibile. Ti ha lasciato da me perché tu sia al sicuro. Spero che torni. Ecco tutto.
Spero proprio che torni».
Accidenti, forse era meglio non
essere nobili tutti i giorni: la verità faceva piuttosto male!
«Mamma torna sempre. Perché non
dovrebbe tornare?»
«Perché la polizia potrebbe averla
arrestata».
«Cosa ha fatto?»
«Niente. Non ha fatto niente. È…».
E qui la contessa emise un lungo
gemito di petto che le fece tintinnare le perle della collana. I suoi occhi si
inumidirono.
«È cosa?» domandai.
«È ebrea».
«Certo che è ebrea. Siamo tutti
ebrei, in famiglia. Anch’io, sai».
Si vede che avevo ragione, perché mi
baciò su entrambe le guance.
«Anche tu sei ebrea, signora?».
«No, sono belga».
«Come me!»
«Si, come te. Ma cristiana».
«Cristiana è il contrario di ebreo?»
«Nazista è il contrario di ebreo».
«i cristiani non li arrestano?»
«No».
«Allora conviene essere cristiani».
«Dipende di fronte a chi ti trovi. Vieni,
Joseph, ti faccio vedere la casa intanto che aspettiamo il ritorno della mamma».
«Ah, lo vedi che torna?»
La contessa di Sully mi prese per
mano.
Erich – Emmanuel Scmitt, Il bambino di Noè.