giovedì 5 dicembre 2013

A proposito di...Noi Stessi!

Tra noi e noi…
Solitudine…
Chissà perché ci fa così paura! Facciamo di tutto per non ritrovarci faccia a faccia con lei.
Ci spaventa sfidarla, “guardarla negli occhi”, starle accanto…
È come un’ombra alle nostre spalle, che aspetta con pazienza un nostro cedimento, un nostro tentennamento, un nostro tergiversare, per cancellare la nostra luce vitale, per minare le nostre sicurezze, per abbattere le nostre resistenze a tutto ciò che potrebbe opprimerci, soffocarci, fiaccarci, sopirci…
Già! Sopirci…
Perché lei sa che, nel momento in cui abbassiamo la guardia, inesorabile arriverà lo sconforto…la sfiducia…l’insofferenza non solo verso ciò che ci circonda ma anche verso noi stessi, verso il nostro esistere, verso la realtà del nostro vivere…
Un vivere che mette in luce le proprie zone d’ombra…ci costringe a fare i conti con le nostre insicurezze, i nostri malesseri, le nostre inquietudini…
Ed è da queste inquietudini, da questi malesseri, da queste insicurezze che tutto ha inizio…

Un inizio che ci induce ad esplorare il nostro Io più intimo e segreto e ad intraprendere un nuovo percorso, un percorso lungo e sinuoso che ci conduce tra le pieghe della nostra mente e del nostro cuore e ci obbliga ad affrontare e ad esaminare con occhio lucido ed attento il nostro nemico più temibile e minaccioso: noi stessi.


                                                        Tina Cancilleri

mercoledì 4 dicembre 2013

A proposito di...Solitudine!

Solitudine…
Fa quasi paura pronunciare questa parola.
Forse perché porta con sé quel senso di pesantezza che difficilmente riusciamo a scrollarci di dosso perché ne avvertiamo la problematicità insita…
Già! Il solo pronunciare questa parola ci crea disagio…angoscia…dolore…
Forse perché implica frustrazione o forse, semplicemente, perché mette in risalto la condizion d’essere d’ogni uomo.
Anche se ci risulterà difficile ammetterlo, tutti soffriamo di solitudine e tutti avvertiamo quel senso di oppressione che ci attanaglia l’anima e che risale su, sino al petto, per toglierci il respiro. Quel respiro che dovrebbe portare aria, ossigeno, sollievo…
Sollievo da questa esistenza che non sempre ci consente di darle la direzione che vorremmo…Un’esistenza serena, felice, tranquilla…lontana da quel senso di schiavitù…di sopraffazione e di prevaricazione che avvertiamo dentro. È come se essa, quotidianamente, ci ricordasse che siamo esseri miseri in balia degli eventi e che la SOLITUDINE è la nostra condanna…il nostro castigo…la nostra penitenza per colpe che non sappiamo di aver commesso.

La solitudine, infatti, ci ricorda la nostra impotenza e la nostra incapacità ad intervenire con risolutezza di fronte alle avversità che ci “propone” il fato. Ed è come se ci ritrovassimo di fronte alla nostra inadeguatezza al cambiamento. Un cambiamento che ci incute timore…tensione…agitazione perché ci impone di uscire dall’inferno che stiamo vivendo e che costantemente viviamo e ci chiede di “resuscitare”…di cominciare a parlare e di buttar fuori tutto ciò che di marcio gelosamente conserviamo: l’inpronunciabile…l’irrisolvibile…l’inspiegabile “origine” del nostro malessere: la “malattia”.


                         Tina Cancilleri


martedì 3 dicembre 2013

A proposito di...Omosessualità!!!

Tolleranze…

Si dice che la nostra società sia in continua crescita. Ingloba i problemi, e genera le soluzioni. Tutto viene spiegato, logicizzato ma anche permesso o perdonato…
Tutto tranne ciò che ci sembra innaturale o immorale…
Ci sono regole che vanno incanalate…immagazzinate e rispettate…
E non importa se queste regole non sono consone al rispetto di tutti gli individui…di tutte le persone…di tutti gli esseri umani…
Certi principi si ossequiano e non importa se quel rispetto, poi, implica una violenza contro se stessi e contro il proprio modo di vivere la propria esistenza…il proprio essere parte di questo mondo e di questa società che ci vuole tutti uguali e non accetta la diversità…
Una diversità che ci impone di “non vivere” perché la nostra società ci ha imposto delle regole assurde portate avanti da uomini assurdi…
Già! Assurdi!
Assurdi perché è inconcepibile negare le “realtà” altre…
Assurdi perché è inverosimile pensare di poter negare la “dignità” ad una persona semplicemente perché è diversa…omosessuale…gay…
Assurdi perché è inammissibile pensare di negare il diritto all’ «espressività» ad una persona semplicemente perché il suo essere non è consono alle regole sociali…
Assurdi perché è inconcepibile negare…rifiutare il dialogo semplicemente perché si ama…
L’amore non conosce limiti…non alza barriere…non crea fossati…
L’amore innalza…sublima…vivifica il nostro esistere e lo rende solare…dinamico…vitale…
L’amore non distrugge, crea!
L’amore non opprime, libera…rispetta l’altro!
Ed è da questo rispetto che bisogna partire per instaurare un dialogo!
Un dialogo paritario…equivalente e solidale…
Solidale perché deve essere portatore di scoperta e di conoscenza…
Una conoscenza che mette in risalto la similarità e non la differenza perché…quando c’è un cuore che batte…batte per tutti nella medesima, identica maniera…
È semplicemente una scansione ritmica che scandisce l’armonia dell’universo…
Un universo che, quando parla con gli “occhi” dell’amore, non conosce nessuna “aritmia”…ma solo musica…la musica del nostro cuore…
Ed il nostro cuore…quando batte…respira umanità…inala comprensione ed elimina ogni forma di perbenismo ipocrita…
Ipocrita come chi fa finta di non vedere e non sentire che esistono forme d’amore “altre”, ma non per questo meno nobili e limpide…limpide e pure come il sentimento che le caratterizza: l’AMORE.


                                                  Tina Cancilleri 

lunedì 25 novembre 2013

Malevoli pensieri...

Malevoli pensieri...
Ci sono giorni in cui si ha quasi l’impressione che un’ombra ci offuschi le speranze, persino i ricordi. È come brancolare nel buio perché non si riesce a vedere quel pizzico di luce capace di farci uscire da quel tunnel in cui siamo entrati e di cui non riusciamo a vedere la via d’uscita.
Una via d’uscita lontana…talmente lontana da ottundere la nostra volontà…la nostra voglia di guardare avanti…il nostro desiderio di volgere lo sguardo al mondo. Un mondo che ha deluso le nostre aspettative, ha disatteso le nostre speranze e che intorpidisce i nostri ricordi. Ricordi che svaniscono, non trovano spazio in questa nuova dimensione in cui si ha l’impressione di gridare nel vento e rimanere inascoltati. Inascoltati dalle persone che ci circondano, da coloro che ci amano e soprattutto da noi stessi che non siamo più in grado di udire perché troppo doloroso sarebbe il confronto con le proprie paure…con le proprie fobie…con le proprie angosce…
Angosce che celano un malessere profondo…vivido e viscerale…Viscerale come quell’ombra che si è insinuata nella nostra mente e che scatena i dubbi sul perché del nostro esistere…del nostro andare avanti e soffrire, del nostro continuare a picchiare testa e cuore contro quel “muro del pianto” che ci porta ad incamerare malessere su malessre…dolore su dolore…insoddisfazione su insoddisfazione…frustrazione su frustrazione…sconfitta su sconfitta…
Ed è sempre quell’ombra che, approfittando del buio della notte, si insinua nella nostra mente e fa man bassa dei nostri pensieri senza dare spazio alla speranza. Ed è proprio nelle ore notturne che, in solitudine, abbassiamo la guardia ed eliminiamo ogni forma di pudore e viene fuori la parte più intima e nascosta di noi che mette in risalto la nostra vigliaccheria, la nostra incapacità a far fronte al marasma che stiamo vivendo.
Un marasma che ci porta ad ammettere di essere calamitati verso la fine, verso il nostro ennesimo fallimento. Ed è questa nuova incrinatura del nostro esistere che ci induce a vergognarci e ad isolarci per evitare di farci “cucire addosso” un “vestito” che non ci piace e che porta i segni del cedimento, che rinuncia al dialogo con noi stessi e con gli altri ed è proprio in quel momento che si vorrebbe diventare trasparenti, trasparenti come lo sforzo che si fa per guardare avanti quando si vorrebbe solamente precipitare nel più profondo degli abissi e dire basta…basta a tutta quella sofferenza che non siamo più in grado di sopportare e che ci lacera…ci lacera anche quei pochi brandelli di vita che ancora tolleriamo…


        Tina Cancilleri

domenica 3 novembre 2013

A proposito di...malattia!

Ognuno di noi ha un patrimonio inestimabile di risorse, basta semplicemente metterle a disposizione di noi stessi. Un noi stessi che, forse per la prima volta ci chiede di “guardarci allo specchio” e riconoscerci, riconoscerci come Identità e non come semplice espressione di una malattia, di un malessere, di una patologia. Ed è da quel momento, da quella presa di coscienza, da quell’acquisita consapevolezza che la nostra vita assume una piega diversa, una connotazione diversa, una dimensione diversa.
È come se tutto ad un tratto si fosse aperto un mondo e noi ci riscoprissimo parte di quel tutto. Ed è come rinascere, ritornare in vita per riassaporare odori, sapori e colori. Colori che chiedono di essere visti ed espressi, immagazzinati e vissuti nella loro interezza. Un’interezza che chiede di essere accolta perché grande è lo spazio che lei ci ha riservato. Uno spazio in cui noi, piccoli esseri fragili, ci riscopriamo forti e vigorosi per il semplice fatto di esserci…
Esserci nonostante tutto e, meraviglia, esserci con la consapevolezza di poter essere altro rispetto all’immagine che abbiamo dato e che si ha di noi…
Un’immagine che assume una connotazione diversa: quella di chi, malgrado tutto, vuole continuare a vivere dignitosamente e dare significato al suo esistere…

      Tina Cancilleri


lunedì 21 ottobre 2013

A proposito di...tempo!!!

Tempo…

“Il tempo va costantemente razionalizzato e monetizzato, o al tempo si possono chiedere parentesi di umanità e basta? Amico ricco e schiavo degli appuntamenti di lavoro, perché, nella lista dei tuoi mille acquisti non scrivi anche: «vecchio orologio a pendolo»? Ma si, tra un impegno e l’altro, fai anche tu come quel sant’uomo del latinista: blocca la pendola e vola sulle nuvole. Sogna. Ritrova te stesso, sospeso tra le radici e il futuro”.
Paolo Mosca


“Sospeso tra le radici e il futuro…”.
E il presente? Dov’è il presente?
Dov’è questo tempo afferrato…catturato e reso nostro?
Perché il tempo è nostro! È nostro il tempo come è nostro il modo in cui lo vogliamo scandire…modulare…ritmare…
Scrivo ritmare perché mi piace pensare che il tempo non sia una semplice scansione di attimi ma sia ritmo…armonia…ordine e proporzione…
Perché di questo ha bisogno il tempo!
Di ordine e proporzione per dare armonia al ritmo…a quell’istante di eternità che è il nostro vivere…
Un vivere che ha bisogno di non perdere di vista le proprie radici…di non annullare il proprio presente…ma nemmeno di vivere solo in funzione del proprio futuro…
Armonia…
C’è bisogno di armonia…di equilibrio…di proporzione per rendere concretamente vero il nostro esistere…
Un esistere in cui noi siamo spesso prigionieri del tempo…di questo tempo non vissuto ma semplicemente proiettato nella vita che verrà senza, purtroppo, cercare di dare concretezza ai sogni…a se stessi…alle nuvole…


               Tina Cancilleri

lunedì 14 ottobre 2013

A proposito di...malattia!

“Portatrice sana”di…

“Voglio vederci bene e voglio che gli altri mi vedano. Gli altri, quelli che ho sfuggito per mesi, chiudendomi dentro casa, quelli che ti guardano pensando com’eri, a come sei, un lampo fuggevolissimo di compassione, una preghiera al loro dio perché gli eviti questa fine. I vicini”.
                                                                                  Cesarina Vighi

È sempre difficile confrontarsi con una malattia, ma è ancor più difficoltoso accettarla, “sentirla” tua.
Ed è come sentirsi degli estranei non soltanto verso se stessi, ma anche verso gli altri perché non ci si “vede” più. Ed è come esser divenuti trasparenti all’improvviso e non sapere da dove ricominciare per attingere colore, consistenza, significato, spessore. Uno spessore, un significato, una consistenza ed un colore che non si vedono perché assumono sfumature diverse; sfumature che, inizialmente, non si è in grado di cogliere perché tante le paure che ci assalgono ed infinite le inquietudini che ci assediano e fanno man bassa di noi, delle nostre certezze,delle nostre insicurezze.
Tutto intorno a noi vacilla, e non c’è spazio per gli altri, come non c’è spazio per se stessi, per la ricostruzione, per la riedificazione di se stessi.

Tutto ci porta a schivare noi stessi e gli altri per la paura di non essere in grado di reggere il confronto, lo sguardo di coloro che ci circondano e che vedono in noi “il volto della malattia”. “Un volto” che vediamo soprattutto noi perché non siamo in grado di eludere i cattivi pensieri e gli stati ansiogeni che noi stessi ci creiamo perché siamo incapaci di guardare oltre quella “diversità” che siamo noi stessi ad incrementare, a fomentare, a stimolare con le nostre chiusure, i nostri presunti limiti, i nostri probabili confini.
E non c’è nulla che riesca a distoglierci da quella che è la nostra nuova condizione, il nostro nuovo modo di essere, il nostro modo di vederci e di rapportarci agli altri. Tutto ci riporta ineluttabilmente alla realtà…alla nostra realtà.
E non riusciamo a vedere nessuna forma di concretezza tranne quella di quel “male”, di quella “condanna” che ci “rode dentro” e che ha stravolto la nostra esistenza rendendoci diversi, distanti, difformi da noi stessi e dagli altri.
Ma è nel momento stesso in cui quel “male”, quella “condanna”, ci allontanano anni luce da ciò che eravamo e ciò che siamo diventati che riemerge la voglia di ricostruire, reinventare e rivedere se stessi.
Ed è come se tutto ad un tratto un lampo di luce avesse acceso in noi quell’orgoglio sopito e ci riportasse in vita facendo riaffiorare fierezza, forza, coraggio, ardore.
Ed è proprio quell’ardore, quella nuova luce negli occhi che ti spinge a creare movimento, dinamismo, vivacità intorno a te stessa e alle persone  che ti circondano e che, dopo tanto tempo o per la prima volta rivedono/vedono la vera te stessa.


     Tina Cancilleri

giovedì 19 settembre 2013

Equivoche malattie o malattie equivoche?

Equivoche malattie o malattie equivoche?
A volte mi chiedo cosa spinga i medici a sottovalutare il malessere di un paziente. Forse perché, a pelle, il paziente non gli sta simpatico; forse perché i sintomi della malattia non sono “sensazionali”, o forse perché i sintomi non presentano nemmeno tutte le caratteristiche per rientrare in una diagnosi compiuta. Forse è proprio questa  difficoltà ad “uscire dagli schemi da manuale” che porta, poi, a forme di sofferenze diverse da ambo i lati.
Il medico perché “non capisce o non ha voglia di mettersi in discussione” con una diagnosi di difficile soluzione ed il paziente perché si ritrova a dover lottare contro i muri dell’incomprensione e contro se stesso perché inizia a pensare di essere lui il problema.
Ed è così che inizia il calvario di tutti quei pazienti che si ritrovano ad essere “accusati” di ipocondria semplicemente perché il proprio malessere non rientra tra i canoni comuni. Ed è questo “non comune” che porta a sofferenze indescrivibili. Sofferenze che non riguardano solo l’aspetto fisico, ma anche e soprattutto quello psicologico perché non si riesce più a dare una giusta dimensione al proprio dolore. Ed è così che inizia una morte psicologica lenta, graduale, progressiva; progressiva come la malattia che li colpisce e non gli dà tregua influenzando e scandendo le loro giornate in base ai suoi ritmi, alle sue esigenze, ai suoi campanellini d’allarme che prima erano capaci di cogliere ma che adesso li lasciano indifferenti. Indifferenti come chi non ha dato loro ascolto ed ha sottovalutato le loro sofferenze e le ha considerate nient’altro che un’espressione di debolezza, di mancanza di forza, di incapacità a tollerare il dolore.
E non importa se adesso si è data una giusta direzione al proprio percorso di malato. Si ha sempre paura che l’impostazione data non sia quella adatta, quella idonea a loro perché troppe sono state le “inversioni di rotta” e troppe sono diventate le perplessità su un’ipotetica soluzione al proprio problema. Non è un caso che il tempo trascorso non abbia lenito il dolore ma lo abbia accentuato e che una “terapia del dolore” venga vista come l’ennesima invadenza, l’ennesima violenza, l’ennesimo tentativo di attenuare un dolore che, ormai, non si è più capaci di cogliere perché non fa più parte del loro “vocabolario” il concetto di “normalità”…
Una “normalità” persa per sempre e che ha bisogno di essere ricostruita con canoni diversi: quelli del malato cronico…


                   Tina Cancilleri

mercoledì 18 settembre 2013

Soglie...
Per quanto si possa essere aperti al dialogo non ci si racconta mai sino in fondo, ci si ferma sempre sulla soglia. Forse perché si ha paura a mettere a nudo i propri sentimenti, le proprie emozioni, i propri stati d’animo o forse perché si è sempre sulla soglia che vengono dette le cose più importanti, più significative, più vere.
Quelle che “vengono buttate lì” e poi ritornano come un eco, come una voce che “silenziosamente” ti entra dentro e ti induce alla riflessione ed è come un tarlo, un “pensiero molesto” che ci chiede di essere ascoltato e non ci dà tregua sino a quando non gli diamo il giusto peso. Un peso che, spesso, ci disorienta e ci fa avvertire una dolorosa sensazione di precarietà che è difficile gestire perché “l’associazione di pensiero” che si è creato ha fatto si che fluissero dentro di noi, con estrema nitidezza, ricordi sopiti, memorie anestetizzate e reminiscenze intorpidite dalla volontà e dal tempo.
Un tempo che, nonostante il desiderio di cancellazione e soppressione ha tenuto stretto a se anche i pensieri più malevoli e li ha riportati alla luce nel momento in cui siamo soliti “abbassare la guardia”: sulla soglia.
Su quella soglia che proprio per la sua essenza, per la sua natura intrinseca, ci richiama ad essere ciò che siamo: esseri in bilico tra passato e presente; tra ciò che siamo stati, ciò che siamo e ciò che vorremmo essere; tra ciò che mostriamo e ciò che celiamo; tra ciò che tratteniamo e ciò che liberiamo; tra ciò che reprimiamo e ciò che facciamo esplodere dentro e fuori…
Ed è sempre “sulla” soglia che tutto ha inizio perché è da quel “attraversamento” inconsapevole che impariamo a percorrere strade nuove…


                 Tina Cancilleri  

lunedì 9 settembre 2013

A proposito di...sentimenti d'amore!

“I sentimenti d’amore e di voler bene sono i grandi malati del nostro tempo”
Giacomo Dacquino

Difficile non dare credito a queste parole come difficile è non pensare che, nella nostra società, non ci sia più spazio per sentimenti d’amore come l’affetto.
Già! L’affetto…Quel sentimento che ci avvicina all’altro incondizionatamente e ci regala ricchezza; la ricchezza dell’incontro, dell’accrescersi, del donarsi…

Perché l’affetto è un dono! È un grande atto d’amore che ci fa star bene e che produce in noi un’esplosione di colore talmente ricca e varia che si ha solo bisogno di allargare le braccia ed accogliere, accogliere l’altro. Quest’accogliere non implica mai rinuncia ma semplice desiderio di incamminarsi insieme nei sentieri della vita. Una vita che assume significato solo nel momento in cui la rendiamo piena; piena di emozioni.
E non importa se, ogni tanto, queste emozioni assumono una connotazione negativa e si tingono di scuro perché è proprio grazie all’arrivo dell’oscurità che si coglie la bellezza della luminosità…dei colori.
Perché la vita è colore!

Non esistono le esistenze spente…
Esistono le esistenze bige, ma non spente. Sta a noi non spegnerci e trovare sempre la giusta dimensione del nostro esserci. Un esserci fatto di alterità, di incontro con l’altro; un incontro a cui non deve mai mancare il piacere della scoperta e della conquista; la conquista dell’altro, di quella parte di noi che non ha nessun altro obiettivo se non quella di vivere un sentimento con semplicità, con stupore, senza la presunzione di voler superare i limiti di quel vissuto emotivo che ci appartiene e che rende la nostra esistenza un meraviglioso mistero: il mistero di esserci.


          Tina Cancilleri  

lunedì 2 settembre 2013

A proposito di...Attivismo!!!


A proposito di…Attivismo!!!
In questi giorni, parlando del No Muos di Niscemi, mi sono sentita chiedere spesso se fossi un'attivista o meno. Ed è stato questo insistente chiedere per poter "etichettare" che mi ha portato a riflettere su questa parola: ATTIVISTA. Ma chi è l'attivista? E cos'è l'attivismo?
Più penso a queste due parole ed al loro significato e più cresce il mio rammarico nel rendermi conto che troppo spesso si abusa di queste due parole senza coglierne il senso ed il significato più vero. E più ci penso e più mi accorgo che, oggigiorno, si tende a ridurre tutto ad una definizione o ad una parola..Già! Tutto viene ridotto ad una sola parola. Ed è quella parola che poi definisce il tuo agire ed il tuo essere parte del mondo. Come se potessimo ridurre tutto, anche i rapporti umani, ad una sola parola! Come se potessimo ridurre il nostro operato ad una semplice azione. Quando mi sento porre domande simili mi chiedo quanta importanza abbiano, in ognuno di loro/di noi, parole come diritto, amore fraterno, solidarietà, emozionalità. Già! Perché l'uomo vive di principi, esprime emozionalità, dona solidale affetto, lotta per i propri e gli altrui diritti e non voglio pensare che tutto si riduca a delle mere definizioni che tendono solo a categorizzare le persone...

A me piace pensare che, semplicemente, siamo delle persone capaci di cogliere la sofferenza ed il dolore di chi ci circonda e di non far loro avvertire il peso della solitudine a prescindere dal colore politico, dal credo religioso, etc....
Sono unicamente queste le motivazioni che mi spingono a volgere il mio ultimo pensiero della sera ai ragazzi di Niscemi, alla comunità di Niscemi, ai cittadini di Niscemi...
Lascio agli altri, poi, il "piacere" dell' "etichetta"...

Tina Cancilleri

domenica 25 agosto 2013

A proposito di...luci!

Luci…
Erano in due ad attendere: lui e loro.
Entrambi attendevano  lo spegnersi delle luci; luci che assumevano un significato diverso, perché diversa era la loro posizione, il loro punto di vista, la loro dimensione…
Lui attendeva lo spegnersi della paura, della frenesia del “parlare” senza il timore di non essere “ascoltato” e loro…loro attendevano lo spegnersi delle luci della comunicazione. Tutto doveva fermarsi: la luce dei media, la luce della visibilità, la luce della giustizia. Tutto doveva essere coperto da una “coltre di nubi” per non dare spazio alla parola, al pensiero, al detto.
Tutto doveva fermarsi: la voglia di vivere, di raccontare, di emergere.
Tutto doveva fermarsi: la voglia di guardare oltre i muri dell’indifferenza…della noncuranza…dell’oblio.
Tutto doveva fermarsi!
Non bisognava dare spazio a quel giovane che, nell’arco di pochi mesi aveva messo a nudo una società, un sistema, un modus vivendi.
Tutto doveva fermarsi, compresi coloro che, nonostante tutto, continuavano a credere nella forza della parola…Una parola che veniva critto per dare loro visibilità e vigore…
E quel giovane…quel giovane aveva capito tutto, aveva capito che l’unico modo per continuare a vivere era scrivere; scrivere di un mondo che lui conosceva sin troppo bene perché in quel mondo vi era cresciuto ed era diventato uomo.
Non l’uomo che essi si aspettavano ma “pur sempre” un uomo, un uomo che denunciava la violenza di un sistema, la morte di una società, la violazione di un diritto: il diritto alla parola.

Eppure quell’uomo non si era fermato,non si era arreso, non aveva permesso loro di spegnere la luce.
Lui continuava a brillare…a brillare di luce perché «Il mondo», si sa, «è la pagina che scrivi» e lui, di pagine, ne aveva scritte talmente tante da essersi garantito, paradossalmente, un diritto: il diritto alla vita.


       Tina Cancilleri

venerdì 9 agosto 2013

Letture sparse,,,

Caos senza inchiostro

Scrivere comincia a divenire una malattia,
un bisogno dolcissimo che annienta l’anima,
e non esistono muri, barriere, cieli, persone
che possano cancellare la mia voglia di trascrivere
emozioni, sentimenti, parole, felicità, urla.

Eppure questo trascinare musicali pensieri
mi turba come la violenza degli occhi grigi di mia madre,
non so cosa sarò domani, o quando invecchierò,
ma la scrittura mi avrà accompagnato in ogni splendida fase,
ed io morirò fiero di quelle poche strade poetiche percorse.

Ritornerò sulla luna capovolta dai miei versi,
guarderò storto le illusioni che mi hanno dato compagnia,
e sentirò il gemito ricorrente del sogno poesia,
in fondo ripeto sempre la medesima storia:
la mia vita è un caos senza inchiostro.


Matteo Amodeo, E i mari e le poesie, Edizioni Nulla Die.

mercoledì 7 agosto 2013

A proposito di...infanzia!

Infanzie violate…violate infanzie…
Difficile mettere ordine tra i propri pensieri quando si parla di pedofilia. Forse perché “l’oggetto” della discussione è molto delicato o forse perché si ha paura di scadere nella banalità, nel già detto, perdendo di vista il “fulcro” che dovrebbe orientare i nostri pensieri: il bambino.
Quando parliamo di pedofilia siamo talmente pervasi dalla rabbia…dall’ acredine e dal rancore che smarriamo “l’elemento” più importante: il bambino.
Quel bambino che “per eccesso d’amore” è stato profanato…violato…calpestato… Ed è sempre quel bambino che, dopo aver subito il trauma della violenza e della perversa umana crudeltà, ha bisogno di essere accolto…compreso…aiutato…affinchè quella violenza…quella profanazione…quella sopraffazione non sia portatrice di altra violenza…di altra profanazione…di altra sopraffazione per uno “spostamento” improprio del dolore…Perché è questo il rischio che si corre!!! Ossia…Essere “vittime indirette” di quella violenza…farsi sopraffare da essa e non dare il giusto aiuto…il giusto soccorso a chi, quella violenza, “direttamente” l’ha subita.

Già! Bisogna stare attenti! Non si deve perdere di vista il bambino! Bisogna focalizzare la propria attenzione sulla “vittima diretta”…su chi quella violenza “direttamente” l’ha subita! Non bisogna perdere di vista il bambino…quel bambino che ha vissuto il dramma…lo sta ancora vivendo e continuerà a viverlo se non lo si aiuta tempestivamente a canalizzare e razionalizzare un dolore…Un dolore che, se non orientato “positivamente”, può creare altro dolore e può continuare a lacerare irreversibilmente l’anima del futuro adulto…Un adulto che, non avendo avuto la possibilità o la capacità di esternare e indirizzare la propria rabbia, la propria frustrazione, il proprio dolore, da grande, si ritroverà a continuare a vivere quel dolore in tutta la sua drammaticità…in tutta la sua tragicità…in tutta la sua “irrazionale” interezza…
Scrivo “IRRAZIONALE” non perché ritengo insensata o poco concreta l’angoscia generata da una violenza subita, ma perché diviene irrazionale il controllo emotivo che da essa ne scaturisce…
Perché è irrazionale il senso di colpa che molte vittime si portano dietro, come se quella violenza l’avessero indotta loro…
Perché è irrazionale la non accettazione della propria corporeità per la perenne paura di divenire “visibili” agli altri…
Perché è irrazionale il rapporto col sesso perché ci si continua a sentire profanati, violati, violentati, anche quando si è razionalmente consapevoli che si è in una “situazione” di vero amore; un amore che ha bisogno di essere orientato ed accolto nella giusta dimensione…nella dimensione di chi, amando, senza orpelli, aiuta l’altro a ritrovarsi…conoscersi ed andare oltre il proprio dramma per ritrovare il sole…Un sole che è stato messo in ombra dalla violenza altrui ma che bisogna avere il coraggio e la forza di ritrovare per non perdersi…per se stessi e…per la vita che verrà…
                                   
Tina Cancilleri

domenica 28 luglio 2013

Amo la realtà...

Amo la realtà…
Amo la realtà per quello che è e non per quello che dovrebbe essere o si vorrebbe che fosse.

Amo la realtà per quello che è e non mi ritraggo di fronte ad alcun aspetto di essa per quanto l’imprevedibilità spesso mi disorienti.
Amo la realtà per quello che è e non per sovrappormi ad essa attraverso la scrittura. Anzi, la scrittura la sostanzia, fa parte di essa e le dona concretezza, forza, coerenza.
Amo la realtà per quello che è perché mi consente di avvicinarmi ad essa ed alle cose del mondo con una particolare attenzione verso tutto ciò che è vita, movimento, pensiero.Amo la realtà per quello che è e soprattutto perché non mi consente di definire i contorni del mio essere che sono in continua evoluzione.
Amo la realtà per quello che è e perché, attraverso la scrittura, mi permette di essere testimone del mio tempo.
Amo la realtà per quello che è e perché mi mette a disposizione gli strumenti, giusti o sbagliati che siano, per interpretarla.
Amo la realtà per quello che è e perché solletica la mia immaginazione e, attraverso le parole, mi offre la possibilità di vivere il dolore degli altri.
Amo la realtà per quello che è e perché racchiude una verità: una verità che non sarà con la V maiuscola ma che sento profondamente mia perché la vivo.
Amo la realtà per quello che è, ma amo anche coloro che “la raccontano per come la conoscono”: senza pedanteria, con umorismo e immaginazione.
Amo la realtà per quello che è e non per quello che dovrebbe essere o si vorrebbe che fosse.
Amo la realtà…


         Tina Cancilleri

giovedì 18 luglio 2013

A proposito di...MAFIA!

MAFIA, LINGUAGGIO, IDENTITÀ.
Il 19 luglio si avvicina e, come ogni anno, il 19 luglio è il rinnovarsi di un lutto, di un dolore, di un malessere; un malessere che non è fisico ma è intimo, interiore, intrinseco. Intrinseco come la rabbia che esplode ogni qualvolta ci si ritrova a “fare i conti” con un fatto delittuoso, con un omicidio, con un atteggiamento che richiama quel fenomeno il cui nome difficilmente si riesce a pronunciare: MAFIA.
Un nome che dovremmo imparare a scandire per poterne cogliere l’essenza, il significato più intimo ma anche il linguaggio, l’identità.
Perché la mafia è anche questo! Perché la mafia è soprattutto questo!

È linguaggio, comunicazione, identità. Un’identità che mette in rilievo un senso di appartenenza che deve essere scardinato, sfaldato, fiaccato perché non si può rimanere indifferenti di fronte ad un fenomeno delittuoso come non si può rimanere inermi di fronte alla manifestazione di una violenza; una violenza che è fisica, mentale, sociale.
Perché la mafia è questo! Perché la mafia è soprattutto questo!
È una indiscriminata manifestazione di violenza che si esplica in tutti i contesti del nostro vivere quotidiano e sta a noi non dare spazio ad un fenomeno, un atteggiamento, un linguaggio. Un linguaggio, un atteggiamento, un fenomeno che deve essere annullato per dare spazio alla speranza, alla speranza di chi, in una Sicilia migliore, ci vuole ancora credere.

Barrafranca 18 luglio 2013         Tina Cancilleri


martedì 16 luglio 2013

Racconti di...mafia!

Luci…
Erano in due ad attendere: lui e loro.
Entrambi attendevano  lo spegnersi delle luci; luci che assumevano un significato diverso, perché diversa era la loro posizione, il loro punto di vista, la loro dimensione…
Lui attendeva lo spegnersi della paura, della frenesia del “parlare” senza il timore di non essere “ascoltato” e loro…loro attendevano lo spegnersi delle luci della comunicazione. Tutto doveva fermarsi: la luce dei media, la luce della visibilità, la luce della giustizia. Tutto doveva essere coperto da una “coltre di nubi” per non dare spazio alla parola, al pensiero, al detto.

Tutto doveva fermarsi: la voglia di vivere, di raccontare, di emergere.
Tutto doveva fermarsi: la voglia di guardare oltre i muri dell’indifferenza…della noncuranza…dell’oblio.
Tutto doveva fermarsi!
Non bisognava dare spazio a quel giovane che, nell’arco di pochi mesi aveva messo a nudo una società, un sistema, un modus vivendi.
Tutto doveva fermarsi, compresi coloro che, nonostante tutto, continuavano a credere nella forza della parola...Una parola che veniva scritta per dare loro visibilità e vigore…
E quel giovane…quel giovane aveva capito tutto, aveva capito che l’unico modo per continuare a vivere era scrivere; scrivere di un mondo che lui conosceva sin troppo bene perché in quel mondo vi era cresciuto ed era diventato uomo.
Non l’uomo che essi si aspettavano ma “pur sempre” un uomo, un uomo che denunciava la violenza di un sistema, la morte di una società, la violazione di un diritto: il diritto alla parola.
Eppure quell’uomo non si era fermato,non si era arreso, non aveva permesso loro di spegnere la luce.

Lui continuava a brillare…a brillare di luce perché «Il mondo», si sa, «è la pagina che scrivi» e lui, di pagine, ne aveva scritte talmente tante da essersi garantito, paradossalmente, un diritto: il diritto alla vita.


                                         Tina Cancilleri