Bullismo? No, grazie! Parliamone!
Infinite possono essere le motivazioni
come infinite possono essere le riflessioni che scaturiscono da questa parola:
bullismo! Ma, cos’è il bullismo? Come riconoscerlo? Quali gli interventi e
quali le strategie da adottare?
Infinite le domande e molteplici le
risposte…
Risposte che, comunque, non possono
delineare un problema…un atteggiamento…un disagio perché quel problema, sfortunatamente,
non può essere delineato…descritto…racchiuso in un discorso rigido e schematico
o in una semplice definizione. Il bullismo (iniziamo a familiarizzare con
questo temine!), contrariamente al pensar comune, purtroppo è un fenomeno
talmente diffuso tra i ragazzi che si ha difficoltà a riconoscerlo, ad
identificarlo, ad individuarlo, a carpirne le dinamiche. Troppe sono le
sfumature e poca la conoscenza.
Eppure, chi lavora nel campo della scuola non può non prender atto di un
problema come non può far finta che il fenomeno non esista. Ed è proprio questa
presa d’atto…questa presa di coscienza che, nell’ultimo periodo, nonostante la mia scarsa preparazione nel
campo degli studi sociali, mi ha portato a meditare sui fenomeni che,
ipoteticamente, possono indurre a comportamenti violenti e aggressivi tra
adolescenti.
Qualcuno potrebbe dubitare sui miei sani propositi e pensare che mi ritrovo a
scrivere per il semplice spirito di contestazione e/o per il mero piacere della
retorica. Come dico sempre: «Sono pronta anche a questo! Accetto tutto, anche
le critiche, purché siano costruttive e mi inducano a riflettere e mi portino
ad una maggiore conoscenza del problema». Un problema che non riguarda solo le “parti”
coinvolte ma la società nella sua interezza. Se vogliamo un mondo sano per le
generazioni future dobbiamo educare i nostri ragazzi a rispettare se stessi e
ciò che li circonda e, in questo percorso di crescita e di formazione, è
fondamentale che essi acquisiscano coscienza critica e desiderio di accogliere
l’altro. Per ottenere questo risultato è indispensabile che l’adulto riservi un
occhio attento ai più piccoli, a coloro che saranno gli adulti del futuro e
trasmetta loro il concetto di cura…di accoglienza…di pacifica convivenza… Ma
per ottenere questo, i primi a doversi mettere in discussione sono proprio gli
adulti, coloro che, purtroppo, spesso e volentieri rimangono ancorati alle loro
rigidità e fan finta di non vedere perché non vogliono andar oltre le barricate
che si sono costruiti.
Ed è proprio questo il mio punto di partenza di oggi!
Uscire dalle barriere delle mie mura domestiche e del mondo fantastico che mi
sono costruita e guardare oltre: oltre ogni forma di convenzione e di finto perbenismo
ma, soprattutto, oltre quel velo di Maya che non mi “consente” di volgere lo
sguardo verso la realtà che mi circonda.
Ho cercato di bloccare il mio pensiero sul concetto di prepotenza negli
adolescenti, comunemente denominato bullismo, mi sono soffermata sui concetti
base di mia conoscenza e ho tratto le mie modestissime conclusioni.
Il bullismo, si sa, denota una persona che usa la propria forza o il proprio
potere per intimorire o danneggiare una persona più debole. La caratteristica
più evidente del comportamento da bullo è chiaramente quella dell’aggressività
rivolta verso i compagni, ma molto spesso anche verso i genitori e gli
insegnanti perché, il giovane spavaldo e prepotente, ha un forte bisogno di
dominare gli altri. Naturalmente, ci sono forme di bullismo differenti che, non
solo per dovere di cronaca, cito per avere un quadro leggermente più chiaro
rispetto a quello che comunemente si ha.
Si è soliti distinguere tre forme di
bullismo:
• Fisico, ossia colpire con pugni o
calci, appropriarsi di, o rovinare, gli effetti personali di qualcuno;
• Verbale, ossia deridere,
insultare, prendere in giro ripetutamente, fare affermazioni razziste;
• Indiretto, ossia diffondere
pettegolezzi fastidiosi e offensivi, escludere dai gruppi di aggregazione la
persona presa di mira.
Dopo la breve parentesi relativa alla “classificazione delle forme”, mi sono
chiesta quali potevano essere le condizioni che favoriscono il fenomeno e, devo
ammettere, che qui mi sono persa nei meandri dei miei pensieri perché di
“motivazioni” che portano ad un comportamento aggressivo potrebbero essercene
una miriade e raggrupparle in un ordine preciso e coerente mi è risultato
particolarmente difficoltoso.
Sicuramente un ruolo rilevante è da attribuire al temperamento dell’adolescente.
Un atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di affetto e di
calore da parte delle persone che si prendono cura dell’adolescente sin dalla
più tenera età, indubbiamente è un fattore aggiuntivo nello sviluppo di
modalità aggressive nelle relazioni con gli altri. Ma anche l’eccessiva
permissività e tolleranza manifestata verso i coetanei e i fratelli crea le
condizioni per lo sviluppo di una modalità aggressiva, prepotente e violenta
stabile.
Continuando a seguire il flusso dei miei pensieri, tra le origini del
comportamento aggressivo, altrettanto rilevante ritengo il ruolo ricoperto dal
modello genitoriale nel gestire il potere. L’eccessivo uso di punizioni fisiche
porta l’adolescente ad utilizzarle come strumento per far rispettare le proprie
regole. Sicuramente è importante che siano espresse le regole da rispettare e
da seguire ma non è educativo ricorrere alla punizione fisica. Ma queste non
sono le uniche cause del fenomeno, anzi, si può dire che esso è inserito in un
fitto reticolo di fattori concatenati tra loro. È comunque certo che le
condotte inadeguate, negli adolescenti, si verificano con maggiore probabilità
quando i genitori non sono a conoscenza di ciò che fanno i figli o quando non
hanno saputo fornire in maniera appropriata i limiti oltre i quali certi
comportamenti non sono consentiti. Le forme educative rappresentano, infatti,
un fattore cruciale per lo sviluppo o meno delle condotte non conformi alle
regole del vivere civile. È interessante sottolineare come il grado di
istruzione dei genitori, il livello socio-economico e il tipo di abilitazione
non sembrano correlate con le condotte aggressive dei figli. A livello sociale,
ad esempio, si è visto come anche i fattori di gruppo favoriscano questi
episodi. All’interno del gruppo c’è un indebolimento del controllo e
dell’inibizione delle condotte negative e si sviluppa una riduzione della
responsabilità individuale. Questi fattori fanno sì che in presenza di ragazzi
aggressivi anche coloro che generalmente non lo sono, lo possano diventare.
Potrei dilungarmi all’infinito sulle possibili cause che provocano il fenomeno ma
vorrei concentrare la mia attenzione sulla prevenzione ricordando che,
solitamente, i luoghi considerati a rischio per azioni di bullismo sono gli
edifici scolastici, il tratto di strada che li separa dall’abitazione e, in
generale, tutti i luoghi di aggregazione giovanile.
Per quanto riguarda gli interventi… i soggetti interessati sono, oltre gli
alunni, gli insegnanti e i genitori. Sarebbe utile, infatti, che famiglia ed
istituzione scolastica si facessero carico dei suddetti problemi attivando una
programmazione contro le prepotenze e promuovendo interventi tesi a costruire
una cultura del rispetto e della solidarietà tra gli alunni e tra alunni ed
insegnanti. Alcuni studi hanno messo in evidenza che l’intervento con bambini e
ragazzi deve essere preventivo rispetto a segnali più o meno sommersi del
disagio e rispetto alle fisiologiche crisi evolutive. Risulta poco utile agire
sul disturbo e sulla psicopatologia ormai conclamata. La specificità di un
intervento preventivo è quindi rivolto non soltanto agli alunni (“vittime e
carnefici” per intenderci) ma, per ottenere un risultato stabile e duraturo nel
tempo, va esteso a tutta la comunità degli “spettatori”. Ritengo importante
sottolineare questo punto perché è inefficace l’intervento psicologico
individuale sul “bullo”. Il bullo, infatti, non è motivato al cambiamento in
quanto le sue azioni non sono percepite da lui come un problema.
È inutile sottolineare che, per rendere efficace e duraturo questo tipo di
prevenzione, è necessario che gli insegnanti, gli educatori e le famiglie
collaborino come modelli e come soggetti promotori di regole adeguate di
interazione, affinché l’esempio possa essere acquisito e diventare uno stile di
vita per i ragazzi. Ciò assume grande rilevanza se si considera che le
competenze sociali assimilate durante l’infanzia diventano tratti fissi del
carattere dell’adolescente. Il compito degli insegnanti è quindi quello di
intervenire precocemente sugli atteggiamenti scorretti degli allievi finché
persistono ancora le condizioni per modificarli. Da questo punto di vista è importantissimo
il rapporto scuola/famiglia e la volontà, da ambo le parti, di perseguire degli
obiettivi comuni affinché non vengano trasmessi ai ragazzi valori ambigui ed
ambivalenti.
La poca conoscenza del fenomeno,
indubbiamente, mi avrà portato alla non considerazione di molti aspetti che gli
studiosi del campo riterranno fondamentali ma penso che, tra cercare di capire
e far finta di non sentire e non vedere, è meglio cercare di capire e, si
spera, di “sentire e vedere”.
Tina Cancilleri