domenica 30 dicembre 2012

Racconti di...mafia!!!


Strade nuove...

 L’alba è appena sorta e la città sonnecchia ancora. Non son pochi i pensieri che affollano la mente, solitamente lucida, di donna Carmela. Mentre si avvia lentamente verso il Palazzo di giustizia, con passi incerti dovuti all’età ed agli acciacchi, voci e urla continue rimbombano per tutta la strada. Proprio sul marciapiede di fronte gli strilloni de “L’Ora”, il famoso quotidiano della sera di Palermo, gridano a squarciagola: “Una donna accusa i boss…una donna accusa i boss!”.
Neanche questo fracasso e frastuono di voci insistente la distrae. Lei, un’anziana donna, moglie di un boss mafioso ucciso per un “conflitto di interessi” all’interno della “famiglia”, ha altro a cui pensare.
La tensione è alta perché la donna di cui tutti parlano è proprio lei.
Proprio così!
È lei la donna che tutti accusano di infamia!
È lei la donna che ha voluto rompere il muro di silenzio e d’omertà che la circonda!
È lei la donna che ha deciso di stare dall’altra parte della barricata!
È lei la donna che, per salvare il figlio, entrerà in quell’aula di tribunale e punterà il dito contro mandanti e carnefici!
È lei la donna che, nonostante i moniti e gli ammonimenti della “famiglia”, ha deciso di mettere a nudo le varie facce della mafia!
È lei la donna che non vuol più essere cieca e sorda alla dignità umana!
Proprio così!
È lei la donna che, con il suo temerario gesto, vuol dimostrare al figlio che carisma…impulsi emotivi…desideri…ambizioni devono essere indirizzati verso la realizzazione di una identità nuova, onesta, integra, pulita!
Con la morte del marito e la conseguente riflessione che ne era scaturita, lei aveva compreso che bisognava dire basta!
Basta agli spargimenti di sangue!
Basta alle strategie dell’organizzazione!
Basta alla rete di connivenze portatrice solo di morte e distruzione!
Basta alle verità insabbiate e celate!
Basta alla viltà umana che rende ciechi e sordi!
Lei aveva finalmente compreso!
“Non si può risolvere una questione di mafia ricorrendo alla mafia!”, pensava tra sé Carmela mentre saliva i gradini del Palazzo di giustizia.Carmela era pronta…pronta ad imboccare una strada nuova…!
 
Tina Cancilleri

 

sabato 8 dicembre 2012

Recensione di...Finitòria di Ezio Tarantino



Ezio Tarantino
Finitòria


Edizioni: Nulla die
Collana: Lego Narrativa
Data pubblicazione: 2011
Dettagli: p.194
Isbn: 9788897364290


“Eh, ormai siamo alla finitòria!”

Alla finitòria!
A cosa?
Alla finitòria…”alla fine…verso la fine”!

Come mette in rilievo lo stesso autore, solo nel dialetto siciliano…nella lingua siciliana…possiamo trovare una parola così densa di significato. Una parola in cui si intrecciano culture e idiomi di diverse estrazioni ma anche una parola capace di esprimere cose, situazioni o sentimenti.
Ed è da questa parola che bisogna partire all’atto della lettura di questo romanzo. Un romanzo siciliano ed intriso di sicilianità ma, al tempo stesso, un romanzo in cui i siciliani non parlano in dialetto (come il titolo potrebbe far pensare!), non vivono nella mafia (come la storia potrebbe far sospettare!) ma contro la mafia…contro quella sottocultura diffusa che ci impedisce di vedere la Sicilia ed il fenomeno mafioso con occhio diverso, più critico, più obiettivo…
Ed è da questa criticità…da quest’occhio diverso che è necessario far emergere il doppio filo…l’ambiguità di fondo tra…“verità vera” e “verità voluta” di cui è intriso tutto il romanzo. Un romanzo in cui la “verità voluta” porta alla doppia morte: una morte fisica, che è quella da cui parte il romanzo, ma anche una morte morale. Una morte che uccide un’intera comunità perché incapace di espiazione vera. L’autore, attraverso i suoi personaggi, ci descrive quella Sicilia che, se da un lato vuole voltar pagina, dall’altro, non osa ribellarsi al potere mafioso. Un potere che, associato al senso tragico della vita ed alla visione disincantata della Sicilia, consente al lettore di dare spazio alla riflessione su quello che è il fenomeno mafioso, la sicilianità, la sicilitudine, il senso di appartenenza e il valore del senso civico…un valore che va conquistato e salvaguardato…protetto ed accudito. Accudito come i richiami a cui l’autore ci conduce passo dopo passo…pagina dopo pagina…descrizione dopo descrizione… Non è un caso che, man mano che si procede nella lettura, la nostra mente si ritrovi a pensare ad autori come Leonardo Sciascia, Andrea Camilleri, Pippo Fava ma anche ad uno stile narrativo sottile e sofisticato che mette in luce il potere dell’allusività…dell’ambiguità nei discorsi e…giusto per restare in tema…del fascino sotteso e sottinteso del pirandellismo che, sino alla finitòria, accompagna questo scritto d’esordio di un narratore d’eccellenza.

Tina Cancilleri

lunedì 3 dicembre 2012

Recensione di...Periferie di Antonella Santarelli

Antonella Santarelli
Periferie

Editore: Nulla die
Collana: Nulla die sine Poesia 
Data Pubblicazione: 2011
Pagine: 46
Prezzo: euro 9,90  
Isbn: 978-88-97364-01-6






“Uno sguardo vergine sulla realtà: ecco ciò ch’io chiamo poesia”. 
                                                                                                                Edoardo Sanguineti

Non esiste frase più azzeccata per introdurre Periferie, la silloge di poesie di Antonella Santarelli. Essa, infatti, è come un eco, come una voce suadente che incita il lettore a volgere lo sguardo sulla realtà, sul mondo che ci circonda, sull’essenza della nostra esistenza e del nostro vivere quotidiano.
L’autrice, senza falsi moralismi o ipocriti perbenismi, ci introduce in un mondo tutto da scoprire all’interno del quale ogni singola poesia rappresenta una “piccola isola” a sé, un piccolo frammento di luce che ci porta alla conoscenza di un breve spaccato di vita: la nostra vita, la vita di coloro che quotidianamente lottano con i loro fantasmi interiori e non solo. Ogni poesia, infatti, trasuda di realtà e non ci sono filtri tranne quelli dell’autrice che ci prende per mano e ci induce alla riflessione, allo scorrere dei pensieri.
Periferie, CPT (Centro di Permanenza Temporanea), ad esempio, sono l’incipit di denuncia di una realtà di cui non si è stati soltanto testimoni oculari. In esse, c’è la volontà partecipativa di dar corpo e voce a chi, di simili circostanze, suo malgrado, è stato protagonista e vittima e Poeti ne è testamento.
Ad uno sguardo attento non sfugge l’indubbia vena sociologica che sottende ai versi che, tra l’altro, si susseguono in un crescendo di rabbia e solidarietà, di sdegno e  fratellanza. Ogni poesia, ogni verso, ogni singola frase spinge, stimola il lettore a guardare oltre, a non soffermarsi alla superficie, a volgere lo sguardo alla realtà ed a distaccarsi dall’indifferenza che, anche inconsapevolmente, lo distoglie dall’altro da sé.
La poesia di Antonella Santarelli è evocativa di una terra e delle sue donne, dei suoi uomini che vengono colti nelle situazioni più crude e spesso drammatiche, ma sempre nella dignitosa umanità a cui mai rinunciamo, come ci dice Enrico il Camallo.
Disillusione, amarezza e pessimismo sono le costanti di quella parte di scritti in cui, chi scrive, vuole soltanto fotografare l’immutabile e dolorosa realtà.
Diversa, però, è la sensazione quando l’autrice ci rende partecipi del suo sentire. Un grido di ottimismo, infatti, si può percepire in Nonostante tutto in cui prevale il sorriso e la memoria di sogni lontani, delle “parole che arrivano ancora”.
Fiducia e speranza, infine, le ritroviamo in Ustica, omaggio a quella terra struggente immersa nel blu…un blu che ci porta a pensare ad un cielo…ad un mondo inesplorato e tutto da scoprire…e che, se non ci avesse preso per mano l’autrice, probabilmente rimarrebbe tale…
Tina Cancilleri

 

martedì 13 novembre 2012

Perchè parlare di violenze sui minori...

Pedofilia? No, grazie!!!
Spesso, quando mi siedo e prendo carta e penna, mi chiedo quale sarà l’oggetto della mia riflessione e verso quale “direzione” mi porterà il flusso dei miei pensieri. Ultimamente, non so per quale meccanismo recondito della mia mente (o del mio cuore) mi sto ritrovando stranamente a trattare più volte tematiche sociali. Qualcuno potrebbe pensare ad una sorta di “deformazione professionale”, eppure non è così perché, come si dice in gergo, non sono un’“addetta ai lavori”. Come mi definisco? Una libera pensatrice! Ecco, forse è questo il termine giusto: libera pensatrice. E come libera pensatrice mi ritrovo a meditare sul mondo e la realtà che mi circonda…una realtà che spesso non accetto ma che mi piace osservare con occhio critico ed attento. Ma, del resto, come non farlo? Come far finta di non vedere? Come non ascoltare la voce di chi, silenziosamente, invoca aiuto e chiede di essere ascoltato…sentito…accudito… A volte, ho come la sensazione che mente e cuore camminino sullo stesso binario ma abbiano difficoltà a coordinarsi…a trovare il giusto equilibrio tra loro perché troppo grande è il turbinio dei pensieri e delle emozioni che li travolgono.

Oggi, per esempio, questi due fantastici elementi facenti parte del mio essere, ossia mente e cuore, mi hanno portato a riflettere su una tematica di cui fin troppo ultimamente si vocifera, si sussurra: la pedofilia. Dico vocifera e sussurra perché, se da un lato se ne parla, dall’altro si ha sempre una certa reticenza a parlare di argomenti che mettano in discussione i cardini di una società civile e non priva di falsi moralismi. Già! Falsi come l’imperfetta società che ci circonda e che ostenta una evoluzione ed una correttezza di fondo che, in realtà, purtroppo non possiede…
Detto questo…voglio porre l’attenzione sul concetto di pedofilia.
Il termine pedofilia deriva dal greco pedos (fanciullo/a) e filos (amante) e nell’accezione più comune viene usato, se non erro, per indicare chi abusa sessualmente di un bambino. Da quanto affermato prima si deduce che il concetto di pedofilia (scusate la ridondanza relativa al termine!) è un concetto lontano. Il suo nome ci riporta (addirittura!) alla memoria i miti dell’antica Grecia, a quando sacerdoti e maestri insegnavano l’ars amatoria ai propri allievi, intrecciando con essi un rapporto d’amore. Questo rapporto si basava sul concetto di iniziazione spirituale e pedagogica. Attraverso la continuità dell’insegnamento e l’unione sessuale il maestro insegnava la virtù del cittadino modello. Quest’atto simboleggiava la sottomissione del giovane al più anziano per essere ammesso nel gruppo dei detentori del potere ed era considerato parte integrante del processo di formazione dell’uomo adulto. Anche se la pederastia era libera e permessa dalle leggi del tempo, il rapporto sessuale tra un giovinetto e un adulto non era immediato, ma sottostava a delle regole ben precise. Il ragazzo doveva, ad esempio, essere pubere (la sua età non doveva essere inferiore ai 12 anni!). Da allora la pedofilia non è scomparsa, non è stata spazzata via dalla modernizzazione e dalle regole della vita civile. Al contrario, si è annidata nelle pieghe di un mondo sempre più assetato di nuove emozioni e che non si ferma di fronte a niente e a nessuno: nemmeno davanti all’innocenza e alla purezza di un bambino!
Scusate la crudezza delle mie parole ma non riesco a dare un freno alle mie emozioni quando mi ritrovo a riflettere su una realtà che non voglio sentire mia perché non mi appartiene ma non posso, non voglio, rimanere insensibile al grido di un bambino la cui innocenza è stata distrutta, violata e frantumata! Purtroppo la pedofilia è una realtà, come gli abusi che compie e il dolore che lascia!
Forse non abbiamo ancora capito (o semplicemente non vogliamo capire!) che dobbiamo aprire gli occhi, dobbiamo guardare oltre le mura delle nostre case, oltre le barricate del nostro mondo ideale che ci siamo costruiti! La pedofilia non è un gioco, non è un brutto film che, appena spento il televisore, non esiste più! La pedofilia è lì: nel bambino immortalato all’interno di un film hard, girato mentre si compie l’abuso; nelle riviste dell’editoria hard perché la pornografia minorile aumenta il desiderio sessuale dei pedofili; nella tristissima realtà di moltissimi minori, di differenti nazionalità, che si ritrovano in questo “giro” criminoso per motivazioni che vanno dalla miseria assoluta allo “spiacevole incidente”; nei siti internet che distribuiscono, divulgano e pubblicizzano il materiale pedopornografico nonché informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori! Attenzione! Il mio grido di allarme non è dettato dall’insana voglia di creare falsi allarmismi ma dall’acquisizione di una realtà drammatica e dolorosa ma, purtroppo, nostra.
E quello che mi fa più rabbia è che molto spesso (essendomi un po’ documentata in proposito), andando a scavare nella storia di vita del pedofilo, emerge un vissuto fatto di violenza, di solitudine e di sopraffazione. Da quanto detto si deduce che spesso il carnefice è stato a sua volta una vittima di violenze e di soprusi da bambino (la pedofilia, statisticamente, insorge nell’adolescenza!) e che quindi ha acquisito queste esperienze che poi sono diventate parte della sua personalità di adulto. Ma non possiamo ridurre la figura del pedofilo a colui che da bambino ha subito dei soprusi. Ed è qui che emerge la complessità del fenomeno, il pedofilo può essere chiunque: l’individuo colto, appartenente alle classi più agiate, magari con moglie e figli così come il tutore dell’ordine.
Mi rendo conto che l’argomento preso in considerazione è assai problematico e di non facile discussione anche perché gli interrogativi sono tanti. Magari era più giusto che fosse un esperto a parlarne e non una “libera pensatrice” che si è semplicemente limitata a mettere insieme le sue conoscenze di base in proposito. Non so! Nel dubbio...parlarne o non parlarne…preferisco sempre e comunque non restare indifferente e… parlarne.
Tina Cancilleri

giovedì 8 novembre 2012

Bullismo? Parliamone!

Bullismo? No, grazie! Parliamone!
Infinite possono essere le motivazioni come infinite possono essere le riflessioni che scaturiscono da questa parola: bullismo! Ma, cos’è il bullismo? Come riconoscerlo? Quali gli interventi e quali le strategie da adottare?
Infinite le domande e molteplici le risposte…
Risposte che, comunque, non possono delineare un problema…un atteggiamento…un disagio perché quel problema, sfortunatamente, non può essere delineato…descritto…racchiuso in un discorso rigido e schematico o in una semplice definizione. Il bullismo (iniziamo a familiarizzare con questo temine!), contrariamente al pensar comune, purtroppo è un fenomeno talmente diffuso tra i ragazzi che si ha difficoltà a riconoscerlo, ad identificarlo, ad individuarlo, a carpirne le dinamiche. Troppe sono le sfumature e poca la conoscenza.
Eppure, chi lavora nel campo della scuola non può non prender atto di un problema come non può far finta che il fenomeno non esista. Ed è proprio questa presa d’atto…questa presa di coscienza che, nell’ultimo periodo,  nonostante la mia scarsa preparazione nel campo degli studi sociali, mi ha portato a meditare sui fenomeni che, ipoteticamente, possono indurre a comportamenti violenti e aggressivi tra adolescenti.
Qualcuno potrebbe dubitare sui miei sani propositi e pensare che mi ritrovo a scrivere per il semplice spirito di contestazione e/o per il mero piacere della retorica. Come dico sempre: «Sono pronta anche a questo! Accetto tutto, anche le critiche, purché siano costruttive e mi inducano a riflettere e mi portino ad una maggiore conoscenza del problema». Un problema che non riguarda solo le “parti” coinvolte ma la società nella sua interezza. Se vogliamo un mondo sano per le generazioni future dobbiamo educare i nostri ragazzi a rispettare se stessi e ciò che li circonda e, in questo percorso di crescita e di formazione, è fondamentale che essi acquisiscano coscienza critica e desiderio di accogliere l’altro. Per ottenere questo risultato è indispensabile che l’adulto riservi un occhio attento ai più piccoli, a coloro che saranno gli adulti del futuro e trasmetta loro il concetto di cura…di accoglienza…di pacifica convivenza… Ma per ottenere questo, i primi a doversi mettere in discussione sono proprio gli adulti, coloro che, purtroppo, spesso e volentieri rimangono ancorati alle loro rigidità e fan finta di non vedere perché non vogliono andar oltre le barricate che si sono costruiti.
Ed è proprio questo il mio punto di partenza di oggi!
Uscire dalle barriere delle mie mura domestiche e del mondo fantastico che mi sono costruita e guardare oltre: oltre ogni forma di convenzione e di finto perbenismo ma, soprattutto, oltre quel velo di Maya che non mi “consente” di volgere lo sguardo verso la realtà che mi circonda.
Ho cercato di bloccare il mio pensiero sul concetto di prepotenza negli adolescenti, comunemente denominato bullismo, mi sono soffermata sui concetti base di mia conoscenza e ho tratto le mie modestissime conclusioni.
Il bullismo, si sa, denota una persona che usa la propria forza o il proprio potere per intimorire o danneggiare una persona più debole. La caratteristica più evidente del comportamento da bullo è chiaramente quella dell’aggressività rivolta verso i compagni, ma molto spesso anche verso i genitori e gli insegnanti perché, il giovane spavaldo e prepotente, ha un forte bisogno di dominare gli altri. Naturalmente, ci sono forme di bullismo differenti che, non solo per dovere di cronaca, cito per avere un quadro leggermente più chiaro rispetto a quello che comunemente si ha.
Si è soliti distinguere tre forme di bullismo:
Fisico, ossia colpire con pugni o calci, appropriarsi di, o rovinare, gli effetti personali di qualcuno;
Verbale, ossia deridere, insultare, prendere in giro ripetutamente, fare affermazioni razziste;
Indiretto, ossia diffondere pettegolezzi fastidiosi e offensivi, escludere dai gruppi di aggregazione la persona presa di mira.
Dopo la breve parentesi relativa alla “classificazione delle forme”, mi sono chiesta quali potevano essere le condizioni che favoriscono il fenomeno e, devo ammettere, che qui mi sono persa nei meandri dei miei pensieri perché di “motivazioni” che portano ad un comportamento aggressivo potrebbero essercene una miriade e raggrupparle in un ordine preciso e coerente mi è risultato particolarmente difficoltoso.
Sicuramente un ruolo rilevante è da attribuire al temperamento dell’adolescente. Un atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di affetto e di calore da parte delle persone che si prendono cura dell’adolescente sin dalla più tenera età, indubbiamente è un fattore aggiuntivo nello sviluppo di modalità aggressive nelle relazioni con gli altri. Ma anche l’eccessiva permissività e tolleranza manifestata verso i coetanei e i fratelli crea le condizioni per lo sviluppo di una modalità aggressiva, prepotente e violenta stabile.
Continuando a seguire il flusso dei miei pensieri, tra le origini del comportamento aggressivo, altrettanto rilevante ritengo il ruolo ricoperto dal modello genitoriale nel gestire il potere. L’eccessivo uso di punizioni fisiche porta l’adolescente ad utilizzarle come strumento per far rispettare le proprie regole. Sicuramente è importante che siano espresse le regole da rispettare e da seguire ma non è educativo ricorrere alla punizione fisica. Ma queste non sono le uniche cause del fenomeno, anzi, si può dire che esso è inserito in un fitto reticolo di fattori concatenati tra loro. È comunque certo che le condotte inadeguate, negli adolescenti, si verificano con maggiore probabilità quando i genitori non sono a conoscenza di ciò che fanno i figli o quando non hanno saputo fornire in maniera appropriata i limiti oltre i quali certi comportamenti non sono consentiti. Le forme educative rappresentano, infatti, un fattore cruciale per lo sviluppo o meno delle condotte non conformi alle regole del vivere civile. È interessante sottolineare come il grado di istruzione dei genitori, il livello socio-economico e il tipo di abilitazione non sembrano correlate con le condotte aggressive dei figli. A livello sociale, ad esempio, si è visto come anche i fattori di gruppo favoriscano questi episodi. All’interno del gruppo c’è un indebolimento del controllo e dell’inibizione delle condotte negative e si sviluppa una riduzione della responsabilità individuale. Questi fattori fanno sì che in presenza di ragazzi aggressivi anche coloro che generalmente non lo sono, lo possano diventare.
Potrei dilungarmi all’infinito sulle possibili cause che provocano il fenomeno ma vorrei concentrare la mia attenzione sulla prevenzione ricordando che, solitamente, i luoghi considerati a rischio per azioni di bullismo sono gli edifici scolastici, il tratto di strada che li separa dall’abitazione e, in generale, tutti i luoghi di aggregazione giovanile.
Per quanto riguarda gli interventi… i soggetti interessati sono, oltre gli alunni, gli insegnanti e i genitori. Sarebbe utile, infatti, che famiglia ed istituzione scolastica si facessero carico dei suddetti problemi attivando una programmazione contro le prepotenze e promuovendo interventi tesi a costruire una cultura del rispetto e della solidarietà tra gli alunni e tra alunni ed insegnanti. Alcuni studi hanno messo in evidenza che l’intervento con bambini e ragazzi deve essere preventivo rispetto a segnali più o meno sommersi del disagio e rispetto alle fisiologiche crisi evolutive. Risulta poco utile agire sul disturbo e sulla psicopatologia ormai conclamata. La specificità di un intervento preventivo è quindi rivolto non soltanto agli alunni (“vittime e carnefici” per intenderci) ma, per ottenere un risultato stabile e duraturo nel tempo, va esteso a tutta la comunità degli “spettatori”. Ritengo importante sottolineare questo punto perché è inefficace l’intervento psicologico individuale sul “bullo”. Il bullo, infatti, non è motivato al cambiamento in quanto le sue azioni non sono percepite da lui come un problema.
È inutile sottolineare che, per rendere efficace e duraturo questo tipo di prevenzione, è necessario che gli insegnanti, gli educatori e le famiglie collaborino come modelli e come soggetti promotori di regole adeguate di interazione, affinché l’esempio possa essere acquisito e diventare uno stile di vita per i ragazzi. Ciò assume grande rilevanza se si considera che le competenze sociali assimilate durante l’infanzia diventano tratti fissi del carattere dell’adolescente. Il compito degli insegnanti è quindi quello di intervenire precocemente sugli atteggiamenti scorretti degli allievi finché persistono ancora le condizioni per modificarli. Da questo punto di vista è importantissimo il rapporto scuola/famiglia e la volontà, da ambo le parti, di perseguire degli obiettivi comuni affinché non vengano trasmessi ai ragazzi valori ambigui ed ambivalenti.
La poca conoscenza del fenomeno, indubbiamente, mi avrà portato alla non considerazione di molti aspetti che gli studiosi del campo riterranno fondamentali ma penso che, tra cercare di capire e far finta di non sentire e non vedere, è meglio cercare di capire e, si spera, di  “sentire e vedere”. 

Tina Cancilleri