domenica 28 ottobre 2012

Parole…Sono “solo” parole…



Parole…Sono “solo” parole…

“Le parole feriscono, accusano, diffamano, ma anche consolano, curano, aiutano: hanno una forza grandissima!”

È da quest’affermazione così scontata che voglio partire per far scorrere i miei pensieri…le mie riflessioni…le mie considerazioni…
Ed è soprattutto sul concetto di forza della parola che mi voglio soffermare…indugiare…trattenere…
Perché è da lì che bisogna iniziare per comprendere il significato più vero…più concreto…più reale del termine parola!
Forza…vigore…potere sono elementi insiti nella sua natura e costituiscono la fonte primaria di ogni forma di comunicazione. Ed è da quella comunicazione che nasce il rapporto con l’esterno…con l’uomo…con la società…col mondo…
Una forma di comunicazione di cui l’uomo non può fare a meno perché da essa dipende il suo essere un “animale sociale”…Già! L’uomo è un animale che vive “di parola” perché, contrariamente al pensar comune, “le parole sono pietre”…
Ed è da quelle parole…da quelle forme di comunicazione che da esse scaturiscono, dal verbale allo scritto, che dipende la sua socialità…il suo rapportarsi al mondo…il suo trovare una dimensione capace di esprimere ciò che egli è, ossia un individuo che trasmette…che comunica…che invia impulsi emotivi…
Perché la parola è anche e soprattutto questo: emotività…sentimento…raziocinio…passione…
Dipende da noi l’uso che vogliamo farne, come dipende da noi mettere in evidenza quella parte della parola che vogliamo far emergere…venir fuori…
Diavolo o acqua santa? Angelo o demone? Distruzione o costruzione? Realtà concreta o finzione? Verità oggettiva o soggettiva ipocrisia? Consolazione e conforto o desolazione e abbandono?
Dipende da noi!
Dipende unicamente da noi se vogliamo che essa…madama parola…ferisca…accusi…diffami…o viceversa…consoli…curi…aiuti…

                                                                                                    Tina Cancilleri

lunedì 22 ottobre 2012

Racconto di...quotidiana realtà...



“Solitudini”
Era strana l’aria che si respirava in casa.
Le persiane erano chiuse e le luci erano state spente.
Tutto dava a pensare che la case fosse disabitata. Eppure all’interno vi erano due anime in pena: un padre e una madre che ingoiavano lacrime amare per la perdita di un figlio. Un figlio a lungo desiderato e poi, per ironia del destino, improvvisamente perso.
Nulla aveva più senso!
La madre continuava a guardarsi intorno con gli occhi smarriti e lui, il padre della vittima, pensoso, stava a guardare i movimenti della moglie in attesa di un suo gesto o di una sua parola. Erano giorni che vivevano nell’angoscia e nella prostrazione più assoluta. Avevano atteso invano il rientro di un figlio che non sarebbe più tornato tra loro.
Per i carabinieri era l’ennesima vittima della violenza altrui, un fascicolo momentaneamente aperto che, prima o poi, si sarebbe chiuso.
Per loro era diverso!
Non era solo un caso su cui indagare o un semplice corpo esanime su un freddo tavolo di obitorio. Era l’angelo del loro focolare, colui che dava calore e colore alle loro giornate, era la fonte da cui attingere l’elisir della felicità eterna.
Adesso tutto era finito!
Con Luca erano spariti la gioia di vivere e i progetti per il futuro!
Non era rimasto niente!
Solamente il dolore, la sofferenza, il tormento, la rabbia sorda di coloro che avevano perso il loro bene più prezioso a causa della malvagità altrui.
Quel giorno, assieme alle luci della casa si erano spenti anche i loro cuori.

Tina Cancilleri

giovedì 18 ottobre 2012

Recensione di...Io, piccola ospite del fùhrer



Helga Schneider
Io, piccola ospite del  führer



Edizione: Einaudi
Collana: L’Arcipelago Einaudi
Data pubblicazione: 2006
Pagine: 146 p.
Prezzo: € 10,80
ISBN: 97 – 888 – 061 – 80 – 621 


“Si può davvero definire Adolf Hitler 'un essere umano'?”.

Parte da una domanda molto semplice e altrettanto dolorosa questo breve, intensissimo romanzo, in cui Helga Schneider torna a scavare nella sua memoria di bambina per raccontare un altro drammatico tassello della storia del Novecento di cui è da sempre appassionata testimone.
La scrittrice, lanciata da Adelphi, come aveva già accennato nel suo romanzo Rogo di Berlino, ha avuto modo di incontrare Hitler nel 1945, all’età di 7 anni, nel bunker situato sotto la Reichskanzellerie e ne serba un vivido ricordo.
In questo romanzo, nello specifico, la scrittrice ci racconta come, assieme ad un gruppo di bambini, era stata invitata (per intercessione di zia Hilde, sorella della matrigna) a partecipare ad una gita all’interno dell’ultima dimora del führer. Helga Schneider decide così di regalarci il ricordo di una giornata sconvolgente, trascorsa in un luogo dove tutto era predisposto per cercare di dimenticare le atrocità della guerra e l’ormai imminente caduta del Reich.
Attraverso una scrittura semplice, leggera e priva di retorica la scrittrice ci spinge a vedere il mondo con gli occhi inconsapevoli di una bambina che si interroga sulla realtà che la circonda e che, da grande, ricostruisce con vivo dolore il clima di quegli anni. La narrazione è quella calda di una memoria che cerca di restare fedele alle esperienze vissute senza indugiare in rivisitazioni posteriori, pur collegandole, con abile maestria, a citazioni storiografiche. Il romanzo, infatti, ci offre l’ennesimo, doloroso frammento di una fase della storia, la cui testimonianza si arricchisce dalla sincera immediatezza della curiosità di una bambina, chiamata a godere dell’inattesa “fortuna” di poter visitare, assieme al fratello più piccolo, il bunker di Hitler.

Tina Cancilleri
 

martedì 16 ottobre 2012

Letture sparse...



Cos’è la poesia se non quella tensione emotiva capace di scuoterti l’anima?
È evocazione…ricordo…nostalgica amarezza…
È sentirsi parte di un tutto e coglierne il frammento…l’essenza…la natura intrinseca e profonda e non lasciarsela scappare…
Tina Cancilleri
 

Quieto, possente candelabro posto
all’orlo: in alto si fa nitida la notte.
Noi ci dissipiamo alla tua base
brancolando nel buio.

Questo è il nostro destino: non vedere
l’uscita dal bizzarro labirinto,
tu svetti sui nostri impedimenti
e li inondi di luce come un picco.

La tua gioia sovrasta il nostro regno,
noi ne cogliamo a fatica il residuo;
come la pura notte d’equinozio
ti ergi e condividi giorno a giorno.

Chi mai sarebbe in grado di instillarti
La miscela segreta che ci intorbida?
Tu possiedi splendori d’ogni sorta
Noi siamo rotti a ciò che è più meschino.

Il nostro pianto a stento è commovente,
quando guardiamo siamo appena desti;
il nostro sorriso è incapace di sedurre
e se seduce, chi ne viene attratto?

Uno qualunque. Angelo, mi lamento? Devo farlo?
Ma che sarebbe poi quel mio lamento?
Ah, io grido, percuoto il mio tamburo
e non mi illudo che qualcuno mi oda.

Non è il mio strepito che può giungere a te,
se mai tu mi sentissi è perché io sono.
Fa luce, luce! Che lassù le stelle
Si accorgano di me. Perché io sto vanendo.

Rainer Maria Rilke, Poesie alla notte