Solitudine…
Fa
quasi paura pronunciare questa parola.
Forse
perché porta con sé quel senso di pesantezza che difficilmente riusciamo a
scrollarci di dosso perché ne avvertiamo la problematicità insita…
Già!
Il solo pronunciare questa parola ci crea disagio…angoscia…dolore…
Forse
perché implica frustrazione o forse, semplicemente, perché mette in risalto la
condizion d’essere d’ogni uomo.
Anche
se ci risulterà difficile ammetterlo, tutti soffriamo di solitudine e tutti
avvertiamo quel senso di oppressione che ci attanaglia l’anima e che risale su,
sino al petto, per toglierci il respiro. Quel respiro che dovrebbe portare
aria, ossigeno, sollievo…
Sollievo
da questa esistenza che non sempre ci consente di darle la direzione che
vorremmo…Un’esistenza serena, felice, tranquilla…lontana da quel senso di
schiavitù…di sopraffazione e di prevaricazione che avvertiamo dentro. È come se
essa, quotidianamente, ci ricordasse che siamo esseri miseri in balia degli
eventi e che la SOLITUDINE è la nostra condanna…il nostro castigo…la nostra
penitenza per colpe che non sappiamo di aver commesso.
La
solitudine, infatti, ci ricorda la nostra impotenza e la nostra incapacità ad
intervenire con risolutezza di fronte alle avversità che ci “propone” il fato.
Ed è come se ci ritrovassimo di fronte alla nostra inadeguatezza al
cambiamento. Un cambiamento che ci incute timore…tensione…agitazione perché ci
impone di uscire dall’inferno che stiamo vivendo e che costantemente viviamo e
ci chiede di “resuscitare”…di cominciare a parlare e di buttar fuori tutto ciò
che di marcio gelosamente conserviamo:
l’inpronunciabile…l’irrisolvibile…l’inspiegabile “origine” del nostro
malessere: la “malattia”.
Tina
Cancilleri
Nessun commento:
Posta un commento