lunedì 14 ottobre 2013

A proposito di...malattia!

“Portatrice sana”di…

“Voglio vederci bene e voglio che gli altri mi vedano. Gli altri, quelli che ho sfuggito per mesi, chiudendomi dentro casa, quelli che ti guardano pensando com’eri, a come sei, un lampo fuggevolissimo di compassione, una preghiera al loro dio perché gli eviti questa fine. I vicini”.
                                                                                  Cesarina Vighi

È sempre difficile confrontarsi con una malattia, ma è ancor più difficoltoso accettarla, “sentirla” tua.
Ed è come sentirsi degli estranei non soltanto verso se stessi, ma anche verso gli altri perché non ci si “vede” più. Ed è come esser divenuti trasparenti all’improvviso e non sapere da dove ricominciare per attingere colore, consistenza, significato, spessore. Uno spessore, un significato, una consistenza ed un colore che non si vedono perché assumono sfumature diverse; sfumature che, inizialmente, non si è in grado di cogliere perché tante le paure che ci assalgono ed infinite le inquietudini che ci assediano e fanno man bassa di noi, delle nostre certezze,delle nostre insicurezze.
Tutto intorno a noi vacilla, e non c’è spazio per gli altri, come non c’è spazio per se stessi, per la ricostruzione, per la riedificazione di se stessi.

Tutto ci porta a schivare noi stessi e gli altri per la paura di non essere in grado di reggere il confronto, lo sguardo di coloro che ci circondano e che vedono in noi “il volto della malattia”. “Un volto” che vediamo soprattutto noi perché non siamo in grado di eludere i cattivi pensieri e gli stati ansiogeni che noi stessi ci creiamo perché siamo incapaci di guardare oltre quella “diversità” che siamo noi stessi ad incrementare, a fomentare, a stimolare con le nostre chiusure, i nostri presunti limiti, i nostri probabili confini.
E non c’è nulla che riesca a distoglierci da quella che è la nostra nuova condizione, il nostro nuovo modo di essere, il nostro modo di vederci e di rapportarci agli altri. Tutto ci riporta ineluttabilmente alla realtà…alla nostra realtà.
E non riusciamo a vedere nessuna forma di concretezza tranne quella di quel “male”, di quella “condanna” che ci “rode dentro” e che ha stravolto la nostra esistenza rendendoci diversi, distanti, difformi da noi stessi e dagli altri.
Ma è nel momento stesso in cui quel “male”, quella “condanna”, ci allontanano anni luce da ciò che eravamo e ciò che siamo diventati che riemerge la voglia di ricostruire, reinventare e rivedere se stessi.
Ed è come se tutto ad un tratto un lampo di luce avesse acceso in noi quell’orgoglio sopito e ci riportasse in vita facendo riaffiorare fierezza, forza, coraggio, ardore.
Ed è proprio quell’ardore, quella nuova luce negli occhi che ti spinge a creare movimento, dinamismo, vivacità intorno a te stessa e alle persone  che ti circondano e che, dopo tanto tempo o per la prima volta rivedono/vedono la vera te stessa.


     Tina Cancilleri

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