domenica 4 novembre 2012

Commistione tra crimine organizzato e impresa…“Parliamone” con Raffaele Cantone…

Cari lettori,
in un mondo che non vede...non sente e...non parla...ritengo utile contrapporre la vista...l'udito e...la parola...
Troppo spesso si fa finta di non vedere e sentire e troppo spesso "perdiamo" l'uso della parola semplicemente perchè è più comodo non vedere e non sentire...
Già! E' più facile far finta che un problema non esista piuttosto che affrontarlo e guardarlo negli occhi!
Ed è in questo chiaro/scuro del nostro vedere/non vedere e sentire/non sentire che si trovano a lavorare...ad operare i rappresentanti di un'istituzione che dovrebbe appartenere a tutti: la Giustizia.
Già! Proprio così! Capita spesso che i magistrati rimangono emarginati...isolati...discriminati "semplicemente" perchè hanno scardinato un sistema...demolito e minato la sicurezza di istituzioni illegali che, in una società civile, vanno osteggiate e rimosse ma di cui...purtroppo...frequentemente ed in maniera consapevole...noi  facciamo uso...Già! Non esiste contesto sociale e lavorativo in cui non si debbano fare i conti con quell' istituzione "altra" definita criminalità organizzata e noi...nostro malgrado...sovente...rimaniamo vittime di un sistema...il nostro sistema: il silenzio.
E...giusto per non lasciare troppo spazio al silenzio...


Commistione tra crimine organizzato e impresa…
“Parliamone” con Raffaele Cantone…
L’esperienza di magistrato inquirente mi ha portato a tracciare quattro possibili identikit, ciascuno dei quali individua una diversa modalità di commistione fra crimine organizzato e impresa. Una semplificazione necessaria che consente di mettere in luce le sfumature dal bianco al nero, passando per varie tonalità di grigio che caratterizzano intrecci molto complessi, e che può valere oltre che per la camorra anche per la mafia e la ‘ndrangheta.


Il CAMORRISTA IMPRENDITORE: è un soggetto inserito appieno nell’organizzazione criminale, spesso con ruoli di vertice, che marginalmente svolge attività commerciali o imprenditoriali. È questa una realtà tutt’altro che rara. I vecchi boss del clan dei casalesi, per esempio, gestivano rilevanti attività agricole e zootecniche (specialmente allevamenti di bufale). Il camorrista imprenditore è pericoloso perché è capace di scardinare le regole della libera concorrenza, gestendo le attività economiche con metodi che no sono certo quelli del mercato. Non avrà mai problemi di debiti, contrasti con i fornitori o vertenze sindacali con i propri dipendenti. Questa tipologia, però, sta scomparendo grazie alle leggi antimafia. Le misure di prevenzione patrimoniale, infatti, consentono di colpire facilmente queste attività e i loro beni, per cui mafiosi e camorristi non volendo rischiare le hanno abbandonate.

L’IMPRENDITORE VITTIMA: è l’estorto, colui al quale la criminalità si rivolge per farsi pagare il pizzo, non necessariamente in denaro. Per sopravvivere spesso è costretto a caricare i costi dell’estorsione sui prodotti finali, con una perdita di competitività cui si aggiunge il rischio di ulteriori vessazioni. In questa categoria rientrano molti imprenditori onesti che non hanno la forza di sottrarsi alle intimidazioni. Talvolta, però, il rapporto vittima-carnefice può evolversi in qualcos’altro. soprattutto nelle realtà di provincia, dove le conoscenze sono più strette, chi paga può essere tentato di chiedere al capoclan qualche favore in cambio, per esempio il recupero di un credito, la soluzione di una vertenza di lavoro, un aiuto contro la burocrazia. Accade spesso, e il rischio per l’imprenditore, del tutto imprevisto, è di finire stritolato nel sistema criminale. Il sodalizio, infatti, risolve i problemi con i propri metodi, efficaci quanto sbrigativi, ma da quel momento in poi considera la vittima una sorta di socio al quale poter chiedere non più solo denaro, ma posti di lavoro, rifugi per i latitanti, ospitalità per incontri riservati e altro ancora. L’imprenditore vessato rischia così di trasformarsi in un imprenditore fiancheggiatore.

L’IMPRENDITORE DI RIFERIMENTO: è una figura intermedia, dai contorni più sfumati, che appartiene a quella che viene definita la «zona grigia». Molto presente nelle realtà ad alto tasso mafioso, si manifesta in diverse forme, difficili quindi da incasellare secondo categorie precise. In questa tipologia rientra a pieno titolo la cosiddetta «testa di legno», un soggetto che risulta formalmente intestatario di beni, attività economiche e imprenditoriali, cui i criminali si rivolgono per aggirare la legislazione antimafia. Di fatto, è un prestanome. Ben diversa è la figura dell’operatore economico che ricicla o reinveste il denaro proveniente dalle attività illecite, restituendolo al clan «ripulito» o moltiplicato. Utilizzando soldi «sporchi» può perfino optare per investimenti non remunerativi, destabilizzando il mercato: il suo obiettivo principale, infatti, non è generare utili ma cancellare la provenienza di quelle risorse. La tipologia certamente più inquietante nella quale mi sono imbattuto nel corso della mia esperienza è quella della dell’imprenditore tecnicamente capace, che mette a disposizione dei gruppi criminali il suo Know-how, ottenendo, grazie ai legami vantati da questi ultimi nelle amministrazioni pubbliche, commesse e appalti. Questo impresario, formalmente in regola con le certificazioni antimafia e con le iscrizioni per partecipare ai lavori pubblici, passerà poi parte dei lavori ottenuti a imprese vicine al clan attraverso il sistema dei «noli a freddo o a caldo» (nel primo caso si noleggia il solo macchinario, nel secondo anche un operaio per l’utilizzo del mezzo), aggirando in tal modo le regole in materia di subappalti. Sarà lo stesso sodalizio che provvederà a individuare chi dovrà operare le forniture (ferro, cemento) o svolgere i servizi (il movimento terra), assicurandosi vantaggi e guadagni su più fronti. L’imprenditore di riferimento riconoscerà alla criminalità una percentuale degli utili e, quindi, ripagherà in denaro i favori ricevuti. E diventerà a sua volta uno strumento prezioso per il «sistema», perché fornendo posti di lavoro e commesse a persone e ditte gradite al boss, genera consenso sociale, necessario per il controllo criminale del territorio. Viceversa, avrà un notevole vantaggio rispetto a tutti i concorrenti e potrà utilizzare il gruppo che lo sostiene per risolvere qualsiasi problema. Questo profilo ricorre soprattutto nei settori dei lavori pubblici e dell’edilizia, ma può presentarsi in modo non dissimile nel campo dei servizi e delle distribuzione di beni. Da indagini giudiziarie è emerso come in alcune zone della Campania diverse rappresentanze commerciali godessero di posizioni di vero monopolio, proprio grazie alla capacità della camorra di «consigliare» l’acquisto di un certo tipo di prodotto piuttosto che di un altro.

L’IMPRENDITORE FIANCHEGGIATORE: come poco sopra accennato, è di solito l’evoluzione dell’imprenditore vittima che, in un primo momento, paga il pizzo. Pur essendo estraneo al clan, quando ne ha bisogno chiede e ottiene favori dalla criminalità organizzata. Per le motivazioni più diverse: recuperare dei crediti, ottenere finanziamenti a tassi agevolati (un’usura a basso interesse), risolvere controversie con i dipendenti, assicurarsi entrature nella pubblica amministrazione. In questa categoria, che appartiene anch’essa alla «zona grigia» del malaffare, possono rientrare anche i grandi imprenditori, non necessariamente meridionali, che vincono grossi appalti nel settore dei lavori pubblici in zone ad alto tasso di criminalità. Per premunirsi da qualsiasi problema, attraverso mediatori ben inseriti si affidano quasi integralmente alle imprese di riferimento dei clan, che porteranno a termine l’opera garantendo tranquillità ai cantieri che si incaricheranno di versare loro stesse il pizzo ai boss locali. Lo stesso meccanismo riguarda anche i colossi della distribuzione.

Questa breve analisi rende chiaro un punto: è necessario recidere i rapporti «incestuosi» fra le mafie e l’impresa se si vogliono raggiungere risultati concreti nella lotta alla criminalità organizzata. Non si otterrà mai nulla arrestando solo estorsori o sicari. Va infatti bonificato quel terreno di coltura che consente ai germi negativi di proliferare. Terreno che, purtroppo, è rappresentato spesso da imprese che lavorano in modo illegale e spregiudicato.

Tratto da:
R. Cantone, Operazione Penelope, Mondadori, Cles 2012, pp. 49-53.


Nessun commento:

Posta un commento