in un mondo che non vede...non sente e...non parla...ritengo utile contrapporre la vista...l'udito e...la parola...
Troppo spesso si fa finta di non vedere e sentire e troppo spesso "perdiamo" l'uso della parola semplicemente perchè è più comodo non vedere e non sentire...
Già! E' più facile far finta che un problema non esista piuttosto che affrontarlo e guardarlo negli occhi!
Ed è in questo chiaro/scuro del nostro vedere/non vedere e sentire/non sentire che si trovano a lavorare...ad operare i rappresentanti di un'istituzione che dovrebbe appartenere a tutti: la Giustizia.
Già! Proprio così! Capita spesso che i magistrati rimangono emarginati...isolati...discriminati "semplicemente" perchè hanno scardinato un sistema...demolito e minato la sicurezza di istituzioni illegali che, in una società civile, vanno osteggiate e rimosse ma di cui...purtroppo...frequentemente ed in maniera consapevole...noi facciamo uso...Già! Non esiste contesto sociale e lavorativo in cui non si debbano fare i conti con quell' istituzione "altra" definita criminalità organizzata e noi...nostro malgrado...sovente...rimaniamo vittime di un sistema...il nostro sistema: il silenzio.
E...giusto per non lasciare troppo spazio al silenzio...
Commistione tra crimine organizzato e impresa…
“Parliamone” con Raffaele Cantone…
L’esperienza di magistrato inquirente mi ha portato
a tracciare quattro possibili identikit, ciascuno dei quali individua una
diversa modalità di commistione fra crimine organizzato e impresa. Una
semplificazione necessaria che consente di mettere in luce le sfumature dal
bianco al nero, passando per varie tonalità di grigio che caratterizzano
intrecci molto complessi, e che può valere oltre che per la camorra anche per
la mafia e la ‘ndrangheta.
Il CAMORRISTA IMPRENDITORE: è un soggetto inserito
appieno nell’organizzazione criminale, spesso con ruoli di vertice, che
marginalmente svolge attività commerciali o imprenditoriali. È questa una
realtà tutt’altro che rara. I vecchi boss del clan dei casalesi, per esempio,
gestivano rilevanti attività agricole e zootecniche (specialmente allevamenti
di bufale). Il camorrista imprenditore è pericoloso perché è capace di
scardinare le regole della libera concorrenza, gestendo le attività economiche
con metodi che no sono certo quelli del mercato. Non avrà mai problemi di
debiti, contrasti con i fornitori o vertenze sindacali con i propri dipendenti.
Questa tipologia, però, sta scomparendo grazie alle leggi antimafia. Le misure
di prevenzione patrimoniale, infatti, consentono di colpire facilmente queste
attività e i loro beni, per cui mafiosi e camorristi non volendo rischiare le
hanno abbandonate.
L’IMPRENDITORE VITTIMA: è l’estorto, colui al quale
la criminalità si rivolge per farsi pagare il pizzo, non necessariamente in
denaro. Per sopravvivere spesso è costretto a caricare i costi dell’estorsione
sui prodotti finali, con una perdita di competitività cui si aggiunge il
rischio di ulteriori vessazioni. In questa categoria rientrano molti
imprenditori onesti che non hanno la forza di sottrarsi alle intimidazioni.
Talvolta, però, il rapporto vittima-carnefice può evolversi in qualcos’altro.
soprattutto nelle realtà di provincia, dove le conoscenze sono più strette, chi
paga può essere tentato di chiedere al capoclan qualche favore in cambio, per
esempio il recupero di un credito, la soluzione di una vertenza di lavoro, un
aiuto contro la burocrazia. Accade spesso, e il rischio per l’imprenditore, del
tutto imprevisto, è di finire stritolato nel sistema criminale. Il sodalizio,
infatti, risolve i problemi con i propri metodi, efficaci quanto sbrigativi, ma
da quel momento in poi considera la vittima una sorta di socio al quale poter
chiedere non più solo denaro, ma posti di lavoro, rifugi per i latitanti,
ospitalità per incontri riservati e altro ancora. L’imprenditore vessato
rischia così di trasformarsi in un imprenditore fiancheggiatore.
L’IMPRENDITORE DI RIFERIMENTO: è una figura
intermedia, dai contorni più sfumati, che appartiene a quella che viene
definita la «zona grigia». Molto presente nelle realtà ad alto tasso mafioso,
si manifesta in diverse forme, difficili quindi da incasellare secondo
categorie precise. In questa tipologia rientra a pieno titolo la cosiddetta
«testa di legno», un soggetto che risulta formalmente intestatario di beni,
attività economiche e imprenditoriali, cui i criminali si rivolgono per
aggirare la legislazione antimafia. Di fatto, è un prestanome. Ben diversa è la
figura dell’operatore economico che ricicla o reinveste il denaro proveniente
dalle attività illecite, restituendolo al clan «ripulito» o moltiplicato. Utilizzando
soldi «sporchi» può perfino optare per investimenti non remunerativi,
destabilizzando il mercato: il suo obiettivo principale, infatti, non è
generare utili ma cancellare la provenienza di quelle risorse. La tipologia
certamente più inquietante nella quale mi sono imbattuto nel corso della mia
esperienza è quella della dell’imprenditore tecnicamente capace, che mette a
disposizione dei gruppi criminali il suo Know-how, ottenendo, grazie ai legami
vantati da questi ultimi nelle amministrazioni pubbliche, commesse e appalti. Questo
impresario, formalmente in regola con le certificazioni antimafia e con le
iscrizioni per partecipare ai lavori pubblici, passerà poi parte dei lavori
ottenuti a imprese vicine al clan attraverso il sistema dei «noli a freddo o a
caldo» (nel primo caso si noleggia il solo macchinario, nel secondo anche un
operaio per l’utilizzo del mezzo), aggirando in tal modo le regole in materia
di subappalti. Sarà lo stesso sodalizio che provvederà a individuare chi dovrà
operare le forniture (ferro, cemento) o svolgere i servizi (il movimento
terra), assicurandosi vantaggi e guadagni su più fronti. L’imprenditore di
riferimento riconoscerà alla criminalità una percentuale degli utili e, quindi,
ripagherà in denaro i favori ricevuti. E diventerà a sua volta uno strumento
prezioso per il «sistema», perché fornendo posti di lavoro e commesse a persone
e ditte gradite al boss, genera consenso sociale, necessario per il controllo
criminale del territorio. Viceversa, avrà un notevole vantaggio rispetto a
tutti i concorrenti e potrà utilizzare il gruppo che lo sostiene per risolvere
qualsiasi problema. Questo profilo ricorre soprattutto nei settori dei lavori
pubblici e dell’edilizia, ma può presentarsi in modo non dissimile nel campo
dei servizi e delle distribuzione di beni. Da indagini giudiziarie è emerso
come in alcune zone della Campania diverse rappresentanze commerciali godessero
di posizioni di vero monopolio, proprio grazie alla capacità della camorra di «consigliare»
l’acquisto di un certo tipo di prodotto piuttosto che di un altro.
L’IMPRENDITORE FIANCHEGGIATORE: come poco sopra
accennato, è di solito l’evoluzione dell’imprenditore vittima che, in un primo
momento, paga il pizzo. Pur essendo estraneo al clan, quando ne ha bisogno
chiede e ottiene favori dalla criminalità organizzata. Per le motivazioni più
diverse: recuperare dei crediti, ottenere finanziamenti a tassi agevolati (un’usura
a basso interesse), risolvere controversie con i dipendenti, assicurarsi
entrature nella pubblica amministrazione. In questa categoria, che appartiene
anch’essa alla «zona grigia» del malaffare, possono rientrare anche i grandi
imprenditori, non necessariamente meridionali, che vincono grossi appalti nel
settore dei lavori pubblici in zone ad alto tasso di criminalità. Per premunirsi
da qualsiasi problema, attraverso mediatori ben inseriti si affidano quasi
integralmente alle imprese di riferimento dei clan, che porteranno a termine l’opera
garantendo tranquillità ai cantieri che si incaricheranno di versare loro
stesse il pizzo ai boss locali. Lo stesso meccanismo riguarda anche i colossi
della distribuzione.
Questa breve analisi rende chiaro un punto: è
necessario recidere i rapporti «incestuosi» fra le mafie e l’impresa se si
vogliono raggiungere risultati concreti nella lotta alla criminalità
organizzata. Non si otterrà mai nulla arrestando solo estorsori o sicari. Va infatti
bonificato quel terreno di coltura che consente ai germi negativi di
proliferare. Terreno che, purtroppo, è rappresentato spesso da imprese che
lavorano in modo illegale e spregiudicato.
Tratto da:
R. Cantone, Operazione
Penelope, Mondadori, Cles 2012, pp. 49-53.
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