giovedì 8 novembre 2012

Bullismo? Parliamone!

Bullismo? No, grazie! Parliamone!
Infinite possono essere le motivazioni come infinite possono essere le riflessioni che scaturiscono da questa parola: bullismo! Ma, cos’è il bullismo? Come riconoscerlo? Quali gli interventi e quali le strategie da adottare?
Infinite le domande e molteplici le risposte…
Risposte che, comunque, non possono delineare un problema…un atteggiamento…un disagio perché quel problema, sfortunatamente, non può essere delineato…descritto…racchiuso in un discorso rigido e schematico o in una semplice definizione. Il bullismo (iniziamo a familiarizzare con questo temine!), contrariamente al pensar comune, purtroppo è un fenomeno talmente diffuso tra i ragazzi che si ha difficoltà a riconoscerlo, ad identificarlo, ad individuarlo, a carpirne le dinamiche. Troppe sono le sfumature e poca la conoscenza.
Eppure, chi lavora nel campo della scuola non può non prender atto di un problema come non può far finta che il fenomeno non esista. Ed è proprio questa presa d’atto…questa presa di coscienza che, nell’ultimo periodo,  nonostante la mia scarsa preparazione nel campo degli studi sociali, mi ha portato a meditare sui fenomeni che, ipoteticamente, possono indurre a comportamenti violenti e aggressivi tra adolescenti.
Qualcuno potrebbe dubitare sui miei sani propositi e pensare che mi ritrovo a scrivere per il semplice spirito di contestazione e/o per il mero piacere della retorica. Come dico sempre: «Sono pronta anche a questo! Accetto tutto, anche le critiche, purché siano costruttive e mi inducano a riflettere e mi portino ad una maggiore conoscenza del problema». Un problema che non riguarda solo le “parti” coinvolte ma la società nella sua interezza. Se vogliamo un mondo sano per le generazioni future dobbiamo educare i nostri ragazzi a rispettare se stessi e ciò che li circonda e, in questo percorso di crescita e di formazione, è fondamentale che essi acquisiscano coscienza critica e desiderio di accogliere l’altro. Per ottenere questo risultato è indispensabile che l’adulto riservi un occhio attento ai più piccoli, a coloro che saranno gli adulti del futuro e trasmetta loro il concetto di cura…di accoglienza…di pacifica convivenza… Ma per ottenere questo, i primi a doversi mettere in discussione sono proprio gli adulti, coloro che, purtroppo, spesso e volentieri rimangono ancorati alle loro rigidità e fan finta di non vedere perché non vogliono andar oltre le barricate che si sono costruiti.
Ed è proprio questo il mio punto di partenza di oggi!
Uscire dalle barriere delle mie mura domestiche e del mondo fantastico che mi sono costruita e guardare oltre: oltre ogni forma di convenzione e di finto perbenismo ma, soprattutto, oltre quel velo di Maya che non mi “consente” di volgere lo sguardo verso la realtà che mi circonda.
Ho cercato di bloccare il mio pensiero sul concetto di prepotenza negli adolescenti, comunemente denominato bullismo, mi sono soffermata sui concetti base di mia conoscenza e ho tratto le mie modestissime conclusioni.
Il bullismo, si sa, denota una persona che usa la propria forza o il proprio potere per intimorire o danneggiare una persona più debole. La caratteristica più evidente del comportamento da bullo è chiaramente quella dell’aggressività rivolta verso i compagni, ma molto spesso anche verso i genitori e gli insegnanti perché, il giovane spavaldo e prepotente, ha un forte bisogno di dominare gli altri. Naturalmente, ci sono forme di bullismo differenti che, non solo per dovere di cronaca, cito per avere un quadro leggermente più chiaro rispetto a quello che comunemente si ha.
Si è soliti distinguere tre forme di bullismo:
Fisico, ossia colpire con pugni o calci, appropriarsi di, o rovinare, gli effetti personali di qualcuno;
Verbale, ossia deridere, insultare, prendere in giro ripetutamente, fare affermazioni razziste;
Indiretto, ossia diffondere pettegolezzi fastidiosi e offensivi, escludere dai gruppi di aggregazione la persona presa di mira.
Dopo la breve parentesi relativa alla “classificazione delle forme”, mi sono chiesta quali potevano essere le condizioni che favoriscono il fenomeno e, devo ammettere, che qui mi sono persa nei meandri dei miei pensieri perché di “motivazioni” che portano ad un comportamento aggressivo potrebbero essercene una miriade e raggrupparle in un ordine preciso e coerente mi è risultato particolarmente difficoltoso.
Sicuramente un ruolo rilevante è da attribuire al temperamento dell’adolescente. Un atteggiamento negativo di fondo, caratterizzato da mancanza di affetto e di calore da parte delle persone che si prendono cura dell’adolescente sin dalla più tenera età, indubbiamente è un fattore aggiuntivo nello sviluppo di modalità aggressive nelle relazioni con gli altri. Ma anche l’eccessiva permissività e tolleranza manifestata verso i coetanei e i fratelli crea le condizioni per lo sviluppo di una modalità aggressiva, prepotente e violenta stabile.
Continuando a seguire il flusso dei miei pensieri, tra le origini del comportamento aggressivo, altrettanto rilevante ritengo il ruolo ricoperto dal modello genitoriale nel gestire il potere. L’eccessivo uso di punizioni fisiche porta l’adolescente ad utilizzarle come strumento per far rispettare le proprie regole. Sicuramente è importante che siano espresse le regole da rispettare e da seguire ma non è educativo ricorrere alla punizione fisica. Ma queste non sono le uniche cause del fenomeno, anzi, si può dire che esso è inserito in un fitto reticolo di fattori concatenati tra loro. È comunque certo che le condotte inadeguate, negli adolescenti, si verificano con maggiore probabilità quando i genitori non sono a conoscenza di ciò che fanno i figli o quando non hanno saputo fornire in maniera appropriata i limiti oltre i quali certi comportamenti non sono consentiti. Le forme educative rappresentano, infatti, un fattore cruciale per lo sviluppo o meno delle condotte non conformi alle regole del vivere civile. È interessante sottolineare come il grado di istruzione dei genitori, il livello socio-economico e il tipo di abilitazione non sembrano correlate con le condotte aggressive dei figli. A livello sociale, ad esempio, si è visto come anche i fattori di gruppo favoriscano questi episodi. All’interno del gruppo c’è un indebolimento del controllo e dell’inibizione delle condotte negative e si sviluppa una riduzione della responsabilità individuale. Questi fattori fanno sì che in presenza di ragazzi aggressivi anche coloro che generalmente non lo sono, lo possano diventare.
Potrei dilungarmi all’infinito sulle possibili cause che provocano il fenomeno ma vorrei concentrare la mia attenzione sulla prevenzione ricordando che, solitamente, i luoghi considerati a rischio per azioni di bullismo sono gli edifici scolastici, il tratto di strada che li separa dall’abitazione e, in generale, tutti i luoghi di aggregazione giovanile.
Per quanto riguarda gli interventi… i soggetti interessati sono, oltre gli alunni, gli insegnanti e i genitori. Sarebbe utile, infatti, che famiglia ed istituzione scolastica si facessero carico dei suddetti problemi attivando una programmazione contro le prepotenze e promuovendo interventi tesi a costruire una cultura del rispetto e della solidarietà tra gli alunni e tra alunni ed insegnanti. Alcuni studi hanno messo in evidenza che l’intervento con bambini e ragazzi deve essere preventivo rispetto a segnali più o meno sommersi del disagio e rispetto alle fisiologiche crisi evolutive. Risulta poco utile agire sul disturbo e sulla psicopatologia ormai conclamata. La specificità di un intervento preventivo è quindi rivolto non soltanto agli alunni (“vittime e carnefici” per intenderci) ma, per ottenere un risultato stabile e duraturo nel tempo, va esteso a tutta la comunità degli “spettatori”. Ritengo importante sottolineare questo punto perché è inefficace l’intervento psicologico individuale sul “bullo”. Il bullo, infatti, non è motivato al cambiamento in quanto le sue azioni non sono percepite da lui come un problema.
È inutile sottolineare che, per rendere efficace e duraturo questo tipo di prevenzione, è necessario che gli insegnanti, gli educatori e le famiglie collaborino come modelli e come soggetti promotori di regole adeguate di interazione, affinché l’esempio possa essere acquisito e diventare uno stile di vita per i ragazzi. Ciò assume grande rilevanza se si considera che le competenze sociali assimilate durante l’infanzia diventano tratti fissi del carattere dell’adolescente. Il compito degli insegnanti è quindi quello di intervenire precocemente sugli atteggiamenti scorretti degli allievi finché persistono ancora le condizioni per modificarli. Da questo punto di vista è importantissimo il rapporto scuola/famiglia e la volontà, da ambo le parti, di perseguire degli obiettivi comuni affinché non vengano trasmessi ai ragazzi valori ambigui ed ambivalenti.
La poca conoscenza del fenomeno, indubbiamente, mi avrà portato alla non considerazione di molti aspetti che gli studiosi del campo riterranno fondamentali ma penso che, tra cercare di capire e far finta di non sentire e non vedere, è meglio cercare di capire e, si spera, di  “sentire e vedere”. 

Tina Cancilleri

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