martedì 2 aprile 2013

“Resistere a mafiopoli”… Ne abbiamo parlato con Giovanni Impastato…


“Resistere a mafiopoli”…
Ne abbiamo parlato con Giovanni Impastato…
Difficile parlare di mafia e ancor più difficile, per una siciliana, buttar fuori le impressioni scaturite dall’incontro in libreria con un siciliano d’eccezione: Giovanni Impastato. Un uomo che, nella sua “semplicità”, ha donato, ad una “sala” gremita di gente, emozioni, suggestioni e stati d’animo Veri…veri come la sua esperienza ed il suo ricordare, rievocare un dramma: la morte di un fratello. Ed è da quel fratello e da quel dramma che Giovanni Impastato ha tratto spunto per far emergere quella parte di sé sopita, nascosta, celata; celata come gli eventi che non si devono raccontare perché fanno parte di un contesto in cui vige la regola del silenzio.
Un silenzio che, se non si asseconda, lo si paga a caro prezzo e Giovanni Impastato lo sa…lo ha vissuto sulla sua pelle. Eppure lui quel silenzio lo rompe e si racconta…
Racconta della sua famiglia…di Peppino…ma anche di se stesso e di come è iniziato il suo “dialogo vero” col fratello, con quel giovane talmente rivoluzionario e “anticonformista” da dover essere eliminato, soppresso, ucciso. Ma il suo “racconto” non si ferma a Peppino! Va oltre!  Va oltre le barriere interiori che un lutto simile potrebbe creare e mette in risalto la sua sicilianità vera, ossia quella di un uomo che non si nasconde “dietro un dito” e guarda la realtà che lo circonda con occhio critico. Un occhio che non nasconde ciò che vede e che non ha paura di scoperchiare quel vaso di Pandora che tutti temono. Lui osserva la realtà che lo circonda e non teme ciò che vede e parla…racconta…Racconta di quella Sicilia di cui non si deve parlare, di cui si deve omettere l’esistenza, di cui è bene non vedere il volto perché potrebbe rendere difficile la nostra quotidianità. Ed è da questa quotidianità che parte la testimonianza di Giovanni Impastato. Una testimonianza che prende avvio dal suo rievocare la “mafia in casa” e di come il fratello Peppino sia stato l’unico caso dell’anti-mafia in cui un figlio rompe uno schematismo…lo schematismo mafioso.
Ed è da lì che partono i suoi ricordi di bambino e del suo vivere nel “mondo ovattato” dei mafiosi di cui la sua famiglia faceva parte. Una famiglia che, nel contesto mafioso, vantava nomi importanti come quelli dello zio Cesare Manzella, capo della cupola dalla fine degli anni ’50 sino alla sua uccisione nel 1963. Ed è proprio dall’uccisione dello zio che Giovanni e Peppino acquisiscono coscienza e consapevolezza di quello che è il mondo mafioso…un mondo fatto non solo di “feste e di benessere” ma anche e soprattutto di morte e distruzione. Una distruzione che, negli anni, porterà i due fratelli a rapportarsi al fenomeno mafioso in maniera diversa, ossia come chi, acquisitane coscienza, “coscientemente” vuole distaccarsene e lo fa nell’unico modo in cui è capace di farlo: Peppino con forza e con veemenza e Giovanni, invece, in maniera più lenta e graduale. Una gradualità che lo porterà a vivere il dramma della “perdita del fratello” come il suo punto di forza, il suo ribadire con vigore che la mafia và combattuta e non sostenuta e che bisogna partire da noi stessi per rompere questo schematismo che ci induce, anche inconsciamente, “a suffragare la cultura mafiosa che è dentro di noi, che è radicata in noi”. Una cultura che, ribadisce Giovanni Impastato, và portata alla luce affinché si possa, con consapevolezza, lavorare per portare avanti valori come LEGALITÀ, VERITÀ e GIUSTIZIA.
Valori che non devono essere solo mere parole da usare con leggerezza ma valori condivisi che mettono al centro l’uomo e la dignità umana; una dignità che, come mette in evidenza anche la nostra Costituzione, va salvaguardata e difesa; una dignità che và rispettata e portata avanti affinché il messaggio educativo di Peppino non vada perduto e non cada nel dimenticatoio.
Durante tutta la presentazione del suo libro-intervista, avvenuto il 14 marzo all’interno della Libreria Ubik di Parma, Giovanni Impastato ha ribadito con forza che le battaglie del fratello sono state battaglie di civiltà e di democrazia e che è proprio per questo motivo che Peppino continua ad essere un esempio per i giovani che lo “vedono” come “uno di loro”, come un giovane che “non fa parte delle istituzioni” ma che vive la mafia dal “di dentro”.

Ed è questo “di dentro” che Peppino parte per opporre resistenza al fenomeno mafioso: lo combatte dentro casa rinnegando l’appartenenza ad una “famiglia” e ridicolizzandola con gli “strumenti” che possiede, ossia il pensiero e la parola. A nulla valgono i moniti che gli giungono “dall’esterno”! Peppino continua imperterrito ad “inseguire” e “perseguire” i suoi ideali ed i suoi obiettivi e “come una scheggia impazzita” sostiene con forza la sua dignità di uomo: un giovane uomo che và alla ricerca delle lucciole, delle “cannileddi di li picurara” (letteralmente “candele dei pastori”), ossia di quella “LUCE” che a nessun uomo deve mancare. Una luce che deve essere portatrice di impegno: impegno culturale, politico, morale.
Un impegno che viene portato avanti da Giovanni che, dopo la morte del fratello, con maggiore vigore sostiene la sua battaglia: una battaglia contro coloro che vogliono uccidere il pensiero ma anche e soprattutto la memoria…una memoria che va difesa, salvaguardata ed accudita perché da essa dipende la nostra coscienza storica; una coscienza che va compresa, assimilata e perennemente rievocata affinché non si perda la consapevolezza di ciò che “siamo stati” e di ciò che “siamo”, ovvero degli individui capaci di cogliere le sfumature di un mondo e di una società che tende a farci “perdere” la memoria…una memoria scomoda perché carica di valori: valori che vanno tutelati e difesi perché da essi dipende la nostra dignità di uomini.
Ed è di questa memoria e di questi valori che si fanno “portatori sani” tutti i componenti dello staff della Libreria Ubik di Parma che, come ha sottolineato Carmen Saraceno, vogliono ridare alla libreria il suo significato più intimo e vero: quello di portatrice di cultura, di conoscenza, di confronto perché luogo di apertura, di dialogo…
Peppino Impastato è morto per il perseguimento dei suoi ideali ed è in nome di questi ideali che Giovanni Impastato si è fatto “portavoce” non solo di Peppino ma di tutte quelle vittime di mafia a cui si è cercato di togliere la loro dignità di uomini. Una dignità che Giovanni Impastato ha cercato e cerca di difendere anche attraverso la “SUA” memoria storica, la sua TESTIMONIANZA di uomo e di fratello vittima di mafia. Una mafia che Giovanni Impastato non vede invincibile purché si abbia la volontà di non piegarsi, di non farsi sopraffare e di non subire passivamente la sopraffazione. Una sopraffazione che lui non ha subito e che invita i giovani a non subire affinché essi diventino “portatori sani” di principi sani come quelli di Verità, Giustizia, Legalità…
Legalità che egli attualmente non vede perché intrisa di potere mafioso. Non è un caso che ci siano voluti 24 anni per arrivare alla verità sulla morte di Peppino, una morte talmente scomoda che si è tentato per anni di insabbiare e depistare le indagini perché troppo difficili da spiegare le dinamiche che hanno condotto alla sua morte. Una morte “annunciata” ma che nessuno aveva voluto vedere, comprese le autorità giudiziarie che avrebbero dovuto tutelare, proteggere, aiutare, piuttosto che lasciare in balìa di se stesso ed isolare un giovane che si affacciava al mondo in maniera sana e costruttiva…costruttiva perché portatrice di valori…di valori veri…
Una “costruzione” che metteva in risalto il DISSENSO, il NO ALLA MAFIA di Peppino e che Giovanni, dopo la morte del fratello, ha continuato a portare avanti e che in questo libro-intervista fa “viaggiare” su due livelli che sono fortemente fusi tra loro: quello di Peppino e quello di Giovanni.
Due livelli che chiedono semplicemente di essere ascoltati…seguiti…capiti...

Tina Cancilleri

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