domenica 21 aprile 2013

A proposito di...silenzi!!!


Non è facile gestire il proprio silenzio sotto gli occhi di tutti”.
     Milan Kundera

È da ore che medito su questa magnifica espressione di Milan Kundera ed è da ore che sto cercando di mettere insieme un’idea che possa racchiudere questa splendida sfumatura del nostro esistere.
Perché di questo si tratta! Di una sfumatura…di un momento…di un attimo di vita che tutti viviamo ma che non siamo in grado di gestire semplicemente perché racchiude l’essenzialità di quel momento stesso…di quell’attimo…di quella piccolissima frazione di tempo che ha messo in rilievo un moto interiore…uno stato d’animo…un sentimento…un’emozione…
Già! Un’emozione che fa risaltare…che sottolinea la nostra incapacità di fare rumore…di dare vivacità al nostro esistere…di rendere vitale un momento…un attimo…un istante…
Già! “Non è facile gestire il proprio silenzio sotto gli occhi di tutti”, soprattutto quando si è abituati a far rumore…a far sentire la propria presenza; una presenza che, in alcuni momenti, vi sembra ingombrante…scomoda…fastidiosa…
Già! Fastidiosa!
Fastidiosa perché vorreste poter gestire il “vostro” momento…il “vostro” attimo…il “vostro” istante in maniera diversa…in modo più intimo…più distaccato da tutto ciò che vi circonda…
Eppure, nonostante la necessità di quel silenzio, non riuscite a non far rumore…a distogliere lo sguardo da tutto ciò che è vita…da tutto ciò che è linfa vitale…Perché il rumore questo è!
È linfa vitale…movimento…energia…dinamicità…voglia irrefrenabile di affacciarsi al mondo nonostante tutto…
Ma è poi quel “nonostante tutto” che vi frena…che vi crea disagio…paura…voglia di rilegarvi in un angolo buio e oscuro e far finta di non esistere…di non esserci…
Infatti cresce in voi il desiderio di annullarvi…di cancellare la vostra presenza…di rendere nulla la vostra ingombrante…scomoda…fastidiosa presenza perché troppo grande è il dolore…il disagio…la sofferenza racchiusa in quell’attimo…in quell’istante…in quel momento…

Tina Cancilleri

sabato 20 aprile 2013

L'amore è...


“Un amore è una sequenza sempre intatta del film della nostra esistenza”. Paolo Mosca

Bellissima quest’espressione di Paolo Mosca che, in pochissime parole, in una frase “minuscola”, ha racchiuso un mondo: il mondo dell’amore e degli innamorati…
Già! Degli innamorati…di tutti coloro che colorano la loro esistenza e la rendono viva…vivace…dinamica…radiosa...

Radiosa come il sole che dona luce e calore…
Un calore delicato…intimo; intimo come la luce che lo abbraccia…lo accoglie e lo stringe a sé…
Ed è da quella stretta che tutto parte…
Sentimenti…emozioni…suggestioni…passioni…impulsi…incanti…malie…
Già! È una malia la vita!
Può essere malvagia…dannosa…spietata…crudele…ma può anche essere magica…incantevole…gioiosa…affascinante…
Affascinante come un’alba e seducente come un tramonto che ci prende per mano e ci conduce nei meandri del nostro cuore…del nostro esistere…del nostro essere parte dell’armonia dell’universo; un universo fatto di persone…di individui…di esseri umani che si incontrano…si incrociano e si ritrovano in quell’armonia da cui tutto parte…
Ed è AMORE…
  
Tina Cancilleri

venerdì 12 aprile 2013

"Ripensarsi..."

Ripensarsi e..."rimodellarsi"...

“Nuovi noi innanzi tutto…”
Paolo Mosca

Bella quest’espressione!
Forse perché racchiude un po’ il senso della vita o forse perché, ogni tanto, dovremmo ricordarcene per dare vigore a noi stessi…al nostro vivere…al nostro guardare e guardarci all’interno di questo nostro sconclusionato mondo…
Lo definisco “sconclusionato” perché ultimamente ho quasi l’impressione che esso ci sfugga…ci scappi…ci disorienti…
Già! È disorientante pensare a “nuovi noi innanzi tutto” come è disorientante “ripensarsi”…”ridisegnarsi” in maniera diversa…dissimile…differente rispetto a come si è o a come ci immaginiamo di essere…
“Ridisegnarsi” non significa annullare e rinnegare se stessi o ciò che si è per riemergere in maniera totalmente diversa… Significa semplicemente “reinventarsi”…rivedersi…arricchirsi…”colorarsi” con una veste nuova…
Una veste che metta da parte il “vecchio” per dare spazio al “giovane”…al positivo…all’innovativo…
È una sorta di lavorio creativo che ci consente di ripartire…ricostruire noi stessi da ciò che è stato distrutto…demolito…annullato dalle imprevedibili vicissitudini  della nostra esistenza e che, pertanto, le hanno dato una piega diversa rispetto a come ce la aspettavamo o l’avevamo progettata…
E sono questi cambiamenti inaspettati…inattesi…fortuiti che ci inducono a rimodellare…ridefinire…rifondare la nostra vita…

Una vita che và non solo rifondata ma anche indirizzata…orientata…incanalata e ricostituita per dare origine a “nuovi noi”…a “nuovi noi stessi”…ossia a “nuovi individui” capaci di cogliere gli infiniti input che quest’esistenza ci offre e trasformarli in nuovi output…in nuovi stimoli…in nuovi impulsi che, benevolmente, ci costringono a ricreare noi stessi…
Ed è un continuo formare…forgiare…tratteggiare…plasmare…
Già! Plasmare…
Plasmare per affinare…migliorare…nobilitare…ingentilire…
Già! Ingentilire…
Ingentilire non solo ciò che ci circonda ma “innanzi tutto noi…i nuovi noi…”

                                                                                                 Tina Cancilleri

martedì 2 aprile 2013

“Resistere a mafiopoli”… Ne abbiamo parlato con Giovanni Impastato…


“Resistere a mafiopoli”…
Ne abbiamo parlato con Giovanni Impastato…
Difficile parlare di mafia e ancor più difficile, per una siciliana, buttar fuori le impressioni scaturite dall’incontro in libreria con un siciliano d’eccezione: Giovanni Impastato. Un uomo che, nella sua “semplicità”, ha donato, ad una “sala” gremita di gente, emozioni, suggestioni e stati d’animo Veri…veri come la sua esperienza ed il suo ricordare, rievocare un dramma: la morte di un fratello. Ed è da quel fratello e da quel dramma che Giovanni Impastato ha tratto spunto per far emergere quella parte di sé sopita, nascosta, celata; celata come gli eventi che non si devono raccontare perché fanno parte di un contesto in cui vige la regola del silenzio.
Un silenzio che, se non si asseconda, lo si paga a caro prezzo e Giovanni Impastato lo sa…lo ha vissuto sulla sua pelle. Eppure lui quel silenzio lo rompe e si racconta…
Racconta della sua famiglia…di Peppino…ma anche di se stesso e di come è iniziato il suo “dialogo vero” col fratello, con quel giovane talmente rivoluzionario e “anticonformista” da dover essere eliminato, soppresso, ucciso. Ma il suo “racconto” non si ferma a Peppino! Va oltre!  Va oltre le barriere interiori che un lutto simile potrebbe creare e mette in risalto la sua sicilianità vera, ossia quella di un uomo che non si nasconde “dietro un dito” e guarda la realtà che lo circonda con occhio critico. Un occhio che non nasconde ciò che vede e che non ha paura di scoperchiare quel vaso di Pandora che tutti temono. Lui osserva la realtà che lo circonda e non teme ciò che vede e parla…racconta…Racconta di quella Sicilia di cui non si deve parlare, di cui si deve omettere l’esistenza, di cui è bene non vedere il volto perché potrebbe rendere difficile la nostra quotidianità. Ed è da questa quotidianità che parte la testimonianza di Giovanni Impastato. Una testimonianza che prende avvio dal suo rievocare la “mafia in casa” e di come il fratello Peppino sia stato l’unico caso dell’anti-mafia in cui un figlio rompe uno schematismo…lo schematismo mafioso.
Ed è da lì che partono i suoi ricordi di bambino e del suo vivere nel “mondo ovattato” dei mafiosi di cui la sua famiglia faceva parte. Una famiglia che, nel contesto mafioso, vantava nomi importanti come quelli dello zio Cesare Manzella, capo della cupola dalla fine degli anni ’50 sino alla sua uccisione nel 1963. Ed è proprio dall’uccisione dello zio che Giovanni e Peppino acquisiscono coscienza e consapevolezza di quello che è il mondo mafioso…un mondo fatto non solo di “feste e di benessere” ma anche e soprattutto di morte e distruzione. Una distruzione che, negli anni, porterà i due fratelli a rapportarsi al fenomeno mafioso in maniera diversa, ossia come chi, acquisitane coscienza, “coscientemente” vuole distaccarsene e lo fa nell’unico modo in cui è capace di farlo: Peppino con forza e con veemenza e Giovanni, invece, in maniera più lenta e graduale. Una gradualità che lo porterà a vivere il dramma della “perdita del fratello” come il suo punto di forza, il suo ribadire con vigore che la mafia và combattuta e non sostenuta e che bisogna partire da noi stessi per rompere questo schematismo che ci induce, anche inconsciamente, “a suffragare la cultura mafiosa che è dentro di noi, che è radicata in noi”. Una cultura che, ribadisce Giovanni Impastato, và portata alla luce affinché si possa, con consapevolezza, lavorare per portare avanti valori come LEGALITÀ, VERITÀ e GIUSTIZIA.
Valori che non devono essere solo mere parole da usare con leggerezza ma valori condivisi che mettono al centro l’uomo e la dignità umana; una dignità che, come mette in evidenza anche la nostra Costituzione, va salvaguardata e difesa; una dignità che và rispettata e portata avanti affinché il messaggio educativo di Peppino non vada perduto e non cada nel dimenticatoio.
Durante tutta la presentazione del suo libro-intervista, avvenuto il 14 marzo all’interno della Libreria Ubik di Parma, Giovanni Impastato ha ribadito con forza che le battaglie del fratello sono state battaglie di civiltà e di democrazia e che è proprio per questo motivo che Peppino continua ad essere un esempio per i giovani che lo “vedono” come “uno di loro”, come un giovane che “non fa parte delle istituzioni” ma che vive la mafia dal “di dentro”.

Ed è questo “di dentro” che Peppino parte per opporre resistenza al fenomeno mafioso: lo combatte dentro casa rinnegando l’appartenenza ad una “famiglia” e ridicolizzandola con gli “strumenti” che possiede, ossia il pensiero e la parola. A nulla valgono i moniti che gli giungono “dall’esterno”! Peppino continua imperterrito ad “inseguire” e “perseguire” i suoi ideali ed i suoi obiettivi e “come una scheggia impazzita” sostiene con forza la sua dignità di uomo: un giovane uomo che và alla ricerca delle lucciole, delle “cannileddi di li picurara” (letteralmente “candele dei pastori”), ossia di quella “LUCE” che a nessun uomo deve mancare. Una luce che deve essere portatrice di impegno: impegno culturale, politico, morale.
Un impegno che viene portato avanti da Giovanni che, dopo la morte del fratello, con maggiore vigore sostiene la sua battaglia: una battaglia contro coloro che vogliono uccidere il pensiero ma anche e soprattutto la memoria…una memoria che va difesa, salvaguardata ed accudita perché da essa dipende la nostra coscienza storica; una coscienza che va compresa, assimilata e perennemente rievocata affinché non si perda la consapevolezza di ciò che “siamo stati” e di ciò che “siamo”, ovvero degli individui capaci di cogliere le sfumature di un mondo e di una società che tende a farci “perdere” la memoria…una memoria scomoda perché carica di valori: valori che vanno tutelati e difesi perché da essi dipende la nostra dignità di uomini.
Ed è di questa memoria e di questi valori che si fanno “portatori sani” tutti i componenti dello staff della Libreria Ubik di Parma che, come ha sottolineato Carmen Saraceno, vogliono ridare alla libreria il suo significato più intimo e vero: quello di portatrice di cultura, di conoscenza, di confronto perché luogo di apertura, di dialogo…
Peppino Impastato è morto per il perseguimento dei suoi ideali ed è in nome di questi ideali che Giovanni Impastato si è fatto “portavoce” non solo di Peppino ma di tutte quelle vittime di mafia a cui si è cercato di togliere la loro dignità di uomini. Una dignità che Giovanni Impastato ha cercato e cerca di difendere anche attraverso la “SUA” memoria storica, la sua TESTIMONIANZA di uomo e di fratello vittima di mafia. Una mafia che Giovanni Impastato non vede invincibile purché si abbia la volontà di non piegarsi, di non farsi sopraffare e di non subire passivamente la sopraffazione. Una sopraffazione che lui non ha subito e che invita i giovani a non subire affinché essi diventino “portatori sani” di principi sani come quelli di Verità, Giustizia, Legalità…
Legalità che egli attualmente non vede perché intrisa di potere mafioso. Non è un caso che ci siano voluti 24 anni per arrivare alla verità sulla morte di Peppino, una morte talmente scomoda che si è tentato per anni di insabbiare e depistare le indagini perché troppo difficili da spiegare le dinamiche che hanno condotto alla sua morte. Una morte “annunciata” ma che nessuno aveva voluto vedere, comprese le autorità giudiziarie che avrebbero dovuto tutelare, proteggere, aiutare, piuttosto che lasciare in balìa di se stesso ed isolare un giovane che si affacciava al mondo in maniera sana e costruttiva…costruttiva perché portatrice di valori…di valori veri…
Una “costruzione” che metteva in risalto il DISSENSO, il NO ALLA MAFIA di Peppino e che Giovanni, dopo la morte del fratello, ha continuato a portare avanti e che in questo libro-intervista fa “viaggiare” su due livelli che sono fortemente fusi tra loro: quello di Peppino e quello di Giovanni.
Due livelli che chiedono semplicemente di essere ascoltati…seguiti…capiti...

Tina Cancilleri

lunedì 1 aprile 2013

L'ascolto è una vocazione...


L’ascolto è una “vocazione”…

«Lei sa ascoltare. Non capita spesso di incontrare persone capaci di ascoltare».
                                                                                                         Gianfranco Carofiglio


«Lei sa ascoltare…».
Sembrano scontate queste parole come scontato sembra l’ascolto…il “prestare attenzione” all’altro…il dare inizio ad un dialogo… Eppure non è così!
L’ascolto è una vocazione…un’attitudine…una predisposizione…
Infatti, non sempre dar voce alle parole significa trovar posto nella sfera dell’altro.
A volte si parla e subito dopo ci si rende conto che le proprie parole sono state vane, vuote, inutili…Inutili come il tempo che si è perso cercando di trovare una dimensione in grado di instaurare un dialogo capace di accrescere ed arricchire se stessi ed il proprio interlocutore.
Ascoltare non è di tutti! È una vocazione…un’attitudine…una predisposizione…Una predisposizione che va coltivata…nutrita…alimentata affinchè non se ne perda l’essenza…
Ma cos’è l’ascolto? Che significa ascoltare? Cosa implica nel nostro vivere quotidiano? Ha una sua valenza nella nostra sfera affettiva? E se si, quanto siamo in grado di dare, di prestare ascolto? Siamo più predisposti all’ascolto o all’essere ascoltati?
Per quanto banali possano sembrare queste domande, più passa il tempo e più mi accorgo che, in un mondo in cui tutto avviene velocemente e frettolosamente, non c’è spazio per le parole, per un dialogo empatico…per uno scambio emotivo…
Tutto, ma proprio tutto, viene “vissuto” in maniera talmente celere da creare immensi vuoti di comunicazione ma anche relazionali perché se non c’è comunicazione non c’è relazione…conoscenza…scoperta dell’altro…
Una scoperta “monca” in partenza perché manca di un elemento fondamentale: l’ascolto!
Quell’ascolto che tutti cerchiamo ma che non tutti siamo in grado di dare perché l’ascolto…si sa…è una vocazione…un’attitudine…una predisposizione…Una predisposizione che va coltivata…nutrita…alimentata…

Tina Cancilleri